sabato 2 aprile 2016

RIFLESSIONI SULL’ETERNO E IL DIVENIRE




Noi uomini, così come avviene per ogni essere vivente, abbiamo una visione della realtà condizionata dai nostri limiti conoscitivi. E di essa, in assenza della capacità di andare oltre le apparenze, ci facciamo un’idea rigida e falsa. Vediamo la realtà in un certo modo e pensiamo che questa sia proprio così come ci appare.

Certo, non siamo proprio ingenui, sappiamo in molti che una mosca vedrebbe il luogo dove ci troviamo in questo momento in un modo completamente diverso. Questo accade perché i suoi canali percettivi (i sensi fisici) sono, di molto, diversi da quelli umani.

Con uno slancio di ulteriore agile rigidità, affermiamo però che se è vero che i nostri sensi ci limitano nel modo di comprendere la rappresentazione della realtà, c’è qualcosa che si presenta immutabile, ossia: tutto ciò che osserviamo di fronte a noi scorre continuamente e noi siamo immersi in una “freccia del tempo” inarrestabile.

Affermiamo, dunque: “Il tempo esiste, è reale ed è proprio come lo viviamo”. C’è un passato, un presente e un futuro che avverrà.

È vero, anche in questo caso, sappiamo benissimo che il tempo (e lo spazio) è relativo sul piano della fisica, che subisce delle modificazioni se siamo in movimento alla velocità della luce o ci troviamo seduti su un pianeta di densità elevatissima. E, figuriamoci, se ci trovassimo in viaggio sul confine di un buco nero.

Bene, il tempo è relativo, ma c’è. Si può tornare, sempre sul piano della fisica, anche in dietro nel tempo. Esso non è proprio rigido come pensavamo prima, ma esiste con certezza. Tutto si muove, è impermanente, diviene incessantemente.

C’è anche un tempo psicologico. Un grande conoscitore del tempo e dell’uomo è stato ad esempio Shakespeare. Il quale evidenzia emblematicamente le sue conoscenze in materia nella commedia “Come vi pare”. A parlare sono Orlando e Rosalind.

Ros. … Il tempo cammina con passo diverso, a seconda delle diverse persone. Io posso dirvi con chi il tempo va a passo d’ambio, con chi trotta, con chi galoppa e con chi sta fermo.
Orl. Con chi trotta, di grazia?
Ros. Diamine! Va di trotto rotto con una ragazza, fra il suo fidanzamento e il giorno in cui il matrimonio è celebrato. Ci sia pure l’intervallo di sette giorni soltanto, il passo del tempo è così rotto che sembra una distanza di sette anni.
Orl. E con chi va il tempo a passo d’ambio?
Ros. Con un prete che non sa il latino e con un uomo ricco che non ha la gotta. L’uno infatti dorme facilmente perché non può studiare e l’altro vive allegramente perché non sente alcun dolore: l’uno perché non ha il fardello di una scienza magra e logorante, l’altro perché non conosce quello di una pesante e molesta miseria. Con costoro il tempo  va a passo d’ambio.
Orl. E con chi galoppa?
Ros. Con un ladro che va alla forca; perché quantunque egli cammini il più lentamente possibile, pensa sempre di arrivare troppo presto.
Orl. E con chi sta fermo?
Ros. Con gli uomini di legge quando sono in ferie, perché essi dormono fra una sessione e l’altra, e non s’accorgono che il tempo si muove.

Possiamo costatare, dunque, la realtà del tempo; abbiamo una vivida percezione del suo scorrere incessante; e su questa esperienza fissiamo le nostre certezze.

Dove si vuole arrivare con questa riflessione? Vogliamo forse sostenere che il tempo non esiste ed è una pura illusione?

Di certo non è questa l’intenzione di questo breve scritto.

Il tempo esiste, anche nella sua forma relativa ed elastica, e insieme allo spazio circoscrive la struttura della realtà in cui viviamo in quanto individui.

Qual è allora il punto? Cosa vogliamo sostenere? Cos’è, quindi, l’eternità in rapporto alla realtà spazio-temporale?

L’uomo, ripetiamolo, schiacciato nei suoi limiti conoscitivi, spesso ritiene che sia vero solo ciò che egli con i suoi strumenti riesce a comprendere.

Anche sul piano logico i parametri di comprensione umani non riescono a cogliere concetti di realtà distanti dai loro confini. Con ciò sottolineiamo che i limiti interpretativi dell’uomo non sono solo percettivi e psicologici, ma anche logico-formali, che riguardano cioè la razionalità. Questo è il motivo per cui la Tradizione iniziatica mette in guardia il ricercatore dal pensare che la mente possa portarlo sino alla realizzazione finale, al risveglio, all’illuminazione. La mente è senza dubbio un valido aiuto iniziale che deve lasciare il posto a strumenti conoscitivi superiori. Il primo fra questi è, ad esempio, l’intuizione, (il puro intelletto). E quest’ultima è uno strumento molto più raffinato e veloce del pensiero, il quale è l’espressione della mente.

Intuire, nei termini tradizionali, significa comprendere l’oggetto della nostra attenzione all’istante, senza la necessità di pensarlo.

Dopo questo prologo, possiamo comprendere perché, quando ci confrontiamo con il concetto di “eternità”, in piena identificazione con la nostra mente, afferriamo questa come un qualcosa di estremamente distante dal momento che stiamo vivendo. Pensiamo l’eternità come un momento-evento lontano all’infinito nel tempo, perciò irraggiungibile per un essere temporale com’è l’uomo.

Questo nasce dall’ignorare quale sia la nostra vera identità e la struttura in generale della realtà.

Dal punto di vista della conoscenza metafisica, suprema conoscenza dell’Essere, è reale solo ciò che è permanente, immutabile, eterno e si trova in ogni luogo. Da ciò comprendiamo come l’eternità sia il fondamento di qualsiasi espressione temporale che si sovrappone ad essa.

In noi sono presenti tutti i livelli di realtà. C’è lo spazio, il tempo e l’eternità; e la nostra identità reale è la pura coscienza disidentificata da qualsiasi veicolo. Con il termine veicolo descriviamo i vari corpi coi quali noi coscienza ci identifichiamo. Il più grossolano e ben visibile-percepibile è il corpo fisico. Poi viene il corpo energetico e quello mentale. Ce ne sono altri che non prenderemo in questa sede in considerazione. Basti ora comprendere che ogni veicolo, detto anche corpo, è qualcosa che utilizziamo. E il soggetto del verbo utilizzare siamo noi coscienza.

Il tempo, il divenire, è il modo in cui la mente comprende il mondo.

La coscienza è purezza informale. La nostra vera identità è, quindi, assenza di forma e di movimento. Nella coscienza non c’è il tempo, si vive un presente infinito. La coscienza, ciò che siamo realmente, è pura eternità.

Per quale motivo, quindi, viviamo schiacciati nella dimensione temporale, con tutto ciò che consegue?

Questo accade perché noi coscienza, nella nostra infinita possibilità espressiva, in questo momento ci siamo identificati con veicoli formali limitati. Ci troviamo identificati, ad esempio, con un corpo fisico. Non lo utilizziamo semplicemente, ma ci siamo talmente fusi in esso che pensiamo di essere proprio quel corpo. E in questo processo di caduta, in realtà molto più articolato di come lo stiamo qui descrivendo, abbiamo perso la coscienza della nostra vera natura eterna.

Ciò comporta l’assumere i limiti del corpo con cui ci siamo identificati.

Il processo di risveglio, espresso nella formula alchemica solve et coagula, richiede la disidentificazione (solve) da tutti i corpi formali per ritornare al fondamento (coagula) della nostra identità.

L’eternità non è quindi qualcosa di distante, ma è la dimensione più intima di ogni essere.

L’assenza di pensiero, il silenzio degli iniziati, ci mette nella possibilità di ritornare in quello stato naturale di assenza di tempo, comprendendo per consapevolezza diretta lo stato dell’eternità.

Dal luogo dove tutto permane, in cui termina l’illusione del divenire, possiamo osservare la realtà spazio-temporale in piena consapevolezza, sapendo di non essere ciò che inizia e un giorno finirà.

S.G.M. dell’Ordine

Arjuna