Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon è stato fondato al fine di contribuire al risveglio e alla custodia della Conoscenza Metafisica nella Tradizione Occidentale.
lunedì 29 febbraio 2016
domenica 28 febbraio 2016
venerdì 26 febbraio 2016
giovedì 25 febbraio 2016
mercoledì 24 febbraio 2016
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lunedì 22 febbraio 2016
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martedì 16 febbraio 2016
lunedì 15 febbraio 2016
domenica 14 febbraio 2016
venerdì 12 febbraio 2016
mercoledì 10 febbraio 2016
martedì 9 febbraio 2016
Bhagavad-gita Il canto del Beato
Battaglia d’Isso
Museo
Archeologico di Napoli
Alessandro
Magno (a sinistra) contro Dario III di Persia (a destra).
Ad
Isso, al confine tra la Cilicia e la Siria, nel novembre del 333 a.C. le
forze di Alessandro Magno, sovrano di Macedonia, affrontarono i persiani di
Dario III, aprendo la strada alla conquista macedone della Persia.
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La Bhagavadgita è il
libro sacro più celebre della tradizione spirituale Indiana e costituisce
l'essenza della conoscenza vedica. E’ un
breve poema sanscrito di appena 700 versi in 18 canti, parte integrante del
grande poema epico Mahābhārata, fonte, quest’ultimo, delle tradizioni
normative, religiose e mistiche dell’India antica.
L’Opera, dedicata alle
regole d’agire della Cavalleria, risale probabilmente al III secolo A.C.,
mentre il primo testo comprensivo di commentario, la Bhagavadgītābhāṣya, è
opera di Śaṅkara (788-821).
Nel poema si narra
l’incontro di Arjuna, valoroso cavaliere e prototipo dell’eroe, con Krsna,
un’incarnazione (avatara) del Divino
in forma umana.
La Bhagavad Gita si apre
sul campo di battaglia, nella constatazione dell’esitazione di Arjuna che
dovrebbe combattere e uccidere gente della sua stirpe, ma si rifiuta di partecipare
alla lotta fratricida.
Di fronte a questa
prospettiva drammatica, Arjuna si lascia prendere dallo sconforto, rifiutandosi
di combattere. A questo punto Krsna gli impartisce gli insegnamenti, dal
profondo contenuto iniziatico, per dissiparne i dubbi e lo sconforto
imponendogli di rispettare i suoi doveri di Cavaliere (kṣatra), quindi
di combattere comunque, ma senza farsi coinvolgere da quelle stesse azioni (karman).
Krsna gradatamente fa riconoscere ad Arjuna la sua vera
condizione coscienziale, che è quella del guerriero, e l’imprescindibile dovere
(darma) di assecondarla e svelarla
nell’azione.
Apparsa in un momento di
contrasti e di nuove esigenze interiori del popolo indiano, la Bhagavadglta
contribuì a tener viva la fiamma della Conoscenza upanishadica con la sua
ricerca dei valori assoluti della Realtà e a pacificare le dispute filosofiche
e spirituali del tempo, facendo comprendere l'unità della Verità nei suoi
molteplici aspetti, così da dare a tutti, in modo saggio e illuminato,
l'opportunità di seguire senza conflitto dottrinario il sentiero adatto a
ognuno.
L’Azione di Arjuna è
l’equivalente di qualsiasi altra azione del tutto pacifica e quotidiana come,
ad esempio, risolvere le contraddizioni politiche interne ad una comunità
oppure quelle che un buon padre di famiglia cerca di superare all’interno della
sua famiglia o del posto di lavoro.
Arjuna conserva
l’esistente così come è dato, lo difende così come può essere difeso oggigiorno
un valore come la vita o la libertà di pensiero o i diritti naturali[1].
In definitiva, la
meditazione su quest’opera è profondamente utile per l’uomo del XXI° secolo
che, preso dagli obblighi dell’agire quotidiano rischia l’alienazione
spirituale, a meno di darsi una regola comportamentale chiara, basata sulla
comprensione dei profondi motivi dei propri doveri (darma), in modo che ci si possa rivolgere - nonostante tutto - e rivolta alla concreta elevazione
Spirituale.
La Bhagavad Gita è stata
molto commentata nel corso dei secoli: dai razionalisti e uomini pubblici di
livello (si pensi al mirabile commentario di Ghandi), agli antropologi (su
tutti: Mircea Eliade), alle gerarchie ecclesiastiche, fino ai risvegliati di
ogni epoca e fede (tra tutti: Samkara, Sai Baba, Raphael).
Tra tutte le opere in
circolazione c’è l’imbarazzo della scelta, pur non potendo evitare di
raccomandare l’opera di Raphael, per la limpidezza e profondità spirituale che
traspare dalle righe del suo commentario.
Raphael indica nella prefazione del libro quattro
punti essenziali per poter comprendere il testo nella sua giusta dimensione:
1. Comprensione tradizionale del concetto del Divino.
2. Comprensione del momento ed evento che hanno
determinato la nascita della Gita
3. Comprensione tradizionale degli ordini sociali
4. Comprensione del giusto approccio ai vari sentieri
che conducono al Divino.
L’approfondimento dei
quattro punti fa comprendere il vero Valore della Gita che, come abbiamo
accennato, è enorme se si pensa che è imperniata sull’azione che è alla base
della vita di ognuno di noi e alla quale nessuno può sottrarsi o rinunciare.
Essa svela il segreto dell’agire senza
agire in un mondo, come il nostro, compenetrato di movimento e di
conflitto.
Chi si trova sul piano
dell’azione, per non divenire succube dell’attivismo, deve comprendere quel perfetto agire scevro di
desiderio-attaccamento imprigionante e trascenderne le qualificazioni
individuali.
In questo contesto Krsna
gradatamente fa riconoscere ad Arjuna la sua vera condizione coscienziale, che
è quella del guerriero, e l’imprescindibile dovere (darma) di assecondarla e svelarla nell’azione.
La Gita offre così
qualcosa a tutti: sia a chi è impegnato nell’azione esterna sul piano del puro
agire sia a chi è portato verso la contemplazione e l’introversione, verso la
ricerca filosofica, mistica e riflessiva della vita.
Krsna dice ad Arjuna: “e poi, considerando il tuo proprio darma,
non dovresti esitare: per uno ksatrya non v’è niente di meglio che un legittimo
combattimento” (II,31)
Tutto il testo rimanda alla profondità delle regioni
dello Spirito: a quel Brahman sul quale è impossibile speculare, al massimo
stimolarne un tremolante riflesso…
Se
ami l’immortalità impugna la folgore
del giusto agire (karma-yoga) e squarcia il
dubbio che ti costringe. Quest’opera svela
il segreto dell’azione ‘non-incatenante’ “
Raphael
|
Uber
Eques a Zelante
[1]
Possiamo
così sostenere che la sua azione è tipicamente “visnuita”: Si tratta di una tradizione prevalentemente teistica,
basata principalmente sulla lettura esegetica dei Veda, delle Upaniṣad
(con particolare riguardo a quelle dette viṣṇuite), dei Purāṇa
(in particolar modo sui Viṣṇu, Nārada, Bhāgavata, Garuḍa, Padma e Varāha Purāṇa),
sugli Itihāsa con particolare attenzione al testo profondamente
religioso della Bhagavadgītā. Viṣṇu è venerato anche sotto la forma dei
suoi principali avatāra, tra i quali i più popolari sono: Kṛṣṇa e Rāma.
Va tuttavia tenuto presente che vi sono alcune
rilevanti e diffuse correnti religiose hindū, di origine e natura certamente
viṣṇuita, che intendono il dio Kṛṣṇa non come avatāra di Viṣṇu, ma come
manifestazione plenaria, originale e diretta del Bhagavat, Dio, la Persona
suprema, nel qual caso gli indologi intendono identificarli più precisamente
come kṛṣṇaiti. [Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/visnuismo]
lunedì 8 febbraio 2016
domenica 7 febbraio 2016
sabato 6 febbraio 2016
giovedì 4 febbraio 2016
martedì 2 febbraio 2016
Vivekacūḍāmaṇi (Il gran gioiello della discriminazione)
Vivekacūḍāmaṇi
(Il gran gioiello della
discriminazione)
Edizione: Associazione Ecoculturale
Parmenides
(dalla II e III di copertina del testo)
Che cosa intendiamo per realtà? Con quali
strumenti o mezzi possiamo raggiungerla? A quali risultati porta la conoscenza
della realtà?
L’individuo occidentale interpreta la
realtà in base alle forme-immagini che la sua mente crea dietro
rappresentazioni sensoriali assai illimitate.
Siamo soliti speculare su ciò che è
la nostra particolare immagine-universo,
anziché sulla realtà in sé. Il mondo che ci circonda è sempre un mondo
rapportato alla nostra interpretazione mentale, basta spostare la
focalizzazione e la dimensione ché simile mondo acquisti interpretazione e
realtà diverse. Quando un qualunque dato oggettivo cade sotto la nostra
percezione sensoriale-mentale, esso viene rapportato e modificato da quella
stessa nostra percezione e proiettato come dato reale e assoluto.
In Oriente, ma anche nell’Occidente
classico, soprattutto dell’antica Grecia (Pitagora, Parmenide, Platone,
Plotino, Neopitagorici e Neoplatonici), in linea strettamente tradizionale, è
Reale ciò che non subisce cambiamento e diversificazione, moto e processo, per
cui si può definire la Realtà nella sua accezione più profonda: Assoluto. Ciò
che non è Assoluto-reale non è altro che fenomeno, apparenza.
Abbiamo parlato di Assoluto, il che
equivale a parlare di Metafisica e il Vedānta
advaita, di cui il Vivekacūḍāmaṇi segue
i princìpi, è metafisica pure perché la sua tematica fondamentale è proprio
questa ricerca dell’Assoluto in quanto Reale puro: “Esiste una realtà, un’entità
assoluta, la quale è l’eterno sostrato della coscienza differenziata, testimone
dei tre stati e distinta dai cinque involucri”.
In questa sua opera Śaṅkara ha
dispiegato non solo una metafisica teorico-intuitiva della Realtà, portando un
grande contributo al pensiero filosofico umano, ma ha anche concretizzato una
strada-sentiero che può essere realizzata e vissuta; infatti nel corso del
dialogo Egli tratta dei mezzi o strumenti necessari per penetrare nel mondo
delle cause e rompere le catene delle false sovrapposizioni prodotte dall’ignoranza
avidyā. Tra questi riveste
particolare importanza viveka, la discriminazione
o discernimento intellettivo tra il reale e il non reale, che dà il titolo all’opera
stessa: “Il gran gioiello della discriminazione”. Un “gioiello” che illumina
della sua luce e della sua purezza la nostra coscienza affinché possa vivere la
gioia che nasce dal riconoscimento della nostra eternità, compiutezza e
pienezza.
lunedì 1 febbraio 2016
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