Noi uomini, così come avviene per ogni essere vivente, abbiamo
una visione della realtà condizionata dai nostri limiti conoscitivi. E di essa,
in assenza della capacità di andare oltre le apparenze, ci facciamo un’idea
rigida e falsa. Vediamo la realtà in un certo modo e pensiamo che questa sia
proprio così come ci appare.
Certo, non siamo proprio ingenui, sappiamo in molti che una
mosca vedrebbe il luogo dove ci troviamo in questo momento in un modo
completamente diverso. Questo accade perché i suoi canali percettivi (i sensi
fisici) sono, di molto, diversi da quelli umani.
Con uno slancio di ulteriore agile rigidità, affermiamo però
che se è vero che i nostri sensi ci limitano nel modo di comprendere la
rappresentazione della realtà, c’è qualcosa che si presenta immutabile, ossia:
tutto ciò che osserviamo di fronte a noi scorre continuamente e noi siamo
immersi in una “freccia del tempo” inarrestabile.
Affermiamo, dunque: “Il tempo esiste, è reale ed è proprio
come lo viviamo”. C’è un passato, un presente e un futuro che avverrà.
È vero, anche in questo caso, sappiamo benissimo che il tempo
(e lo spazio) è relativo sul piano della fisica, che subisce delle
modificazioni se siamo in movimento alla velocità della luce o ci troviamo
seduti su un pianeta di densità elevatissima. E, figuriamoci, se ci trovassimo
in viaggio sul confine di un buco nero.
Bene, il tempo è relativo, ma c’è. Si può tornare, sempre sul
piano della fisica, anche in dietro nel tempo. Esso non è proprio rigido come
pensavamo prima, ma esiste con certezza. Tutto si muove, è impermanente,
diviene incessantemente.
C’è anche un tempo psicologico. Un grande conoscitore del
tempo e dell’uomo è stato ad esempio Shakespeare.
Il quale evidenzia emblematicamente le sue conoscenze in materia nella commedia
“Come vi pare”. A parlare sono
Orlando e Rosalind.
Ros. … Il tempo cammina
con passo diverso, a seconda delle diverse persone. Io posso dirvi con chi il tempo
va a passo d’ambio, con chi trotta, con chi galoppa e con chi sta fermo.
Orl. Con chi trotta, di
grazia?
Ros. Diamine! Va di
trotto rotto con una ragazza, fra il suo fidanzamento e il giorno in cui il
matrimonio è celebrato. Ci sia pure l’intervallo di sette giorni soltanto, il
passo del tempo è così rotto che sembra una distanza di sette anni.
Orl. E con chi va il
tempo a passo d’ambio?
Ros. Con un prete che
non sa il latino e con un uomo ricco che non ha la gotta. L’uno infatti dorme
facilmente perché non può studiare e l’altro vive allegramente perché non sente
alcun dolore: l’uno perché non ha il fardello di una scienza magra e logorante,
l’altro perché non conosce quello di una pesante e molesta miseria. Con costoro
il tempo va a passo d’ambio.
Orl. E con chi galoppa?
Ros. Con un ladro che
va alla forca; perché quantunque egli cammini il più lentamente possibile, pensa
sempre di arrivare troppo presto.
Orl. E con chi sta
fermo?
Ros. Con gli uomini di
legge quando sono in ferie, perché essi dormono fra una sessione e l’altra, e
non s’accorgono che il tempo si muove.
Possiamo costatare, dunque, la realtà del tempo; abbiamo una
vivida percezione del suo scorrere incessante; e su questa esperienza fissiamo
le nostre certezze.
Dove si vuole arrivare con questa riflessione? Vogliamo forse
sostenere che il tempo non esiste ed è una pura illusione?
Di certo non è questa l’intenzione di questo breve scritto.
Il tempo esiste, anche nella sua forma relativa ed elastica,
e insieme allo spazio circoscrive la struttura della realtà in cui viviamo in
quanto individui.
Qual è allora il punto? Cosa vogliamo sostenere? Cos’è,
quindi, l’eternità in rapporto alla realtà spazio-temporale?
L’uomo, ripetiamolo, schiacciato nei suoi limiti conoscitivi,
spesso ritiene che sia vero solo ciò che egli con i suoi strumenti riesce a
comprendere.
Anche sul piano logico i parametri di comprensione umani non
riescono a cogliere concetti di realtà distanti dai loro confini. Con ciò
sottolineiamo che i limiti interpretativi dell’uomo non sono solo percettivi e
psicologici, ma anche logico-formali, che riguardano cioè la razionalità. Questo
è il motivo per cui la Tradizione iniziatica mette in guardia il ricercatore
dal pensare che la mente possa portarlo sino alla realizzazione finale, al
risveglio, all’illuminazione. La mente è senza dubbio un valido aiuto iniziale
che deve lasciare il posto a strumenti conoscitivi superiori. Il primo fra
questi è, ad esempio, l’intuizione, (il puro intelletto). E quest’ultima è uno
strumento molto più raffinato e veloce del pensiero, il quale è l’espressione
della mente.
Intuire, nei termini tradizionali, significa comprendere l’oggetto
della nostra attenzione all’istante, senza la necessità di pensarlo.
Dopo questo prologo, possiamo comprendere perché, quando
ci confrontiamo con il concetto di “eternità”, in piena identificazione con la nostra
mente, afferriamo questa come un qualcosa di estremamente distante dal momento che
stiamo vivendo. Pensiamo l’eternità come un momento-evento lontano all’infinito
nel tempo, perciò irraggiungibile per un essere temporale com’è l’uomo.
Questo nasce dall’ignorare quale sia la nostra vera identità
e la struttura in generale della realtà.
Dal punto di vista della conoscenza metafisica, suprema
conoscenza dell’Essere, è reale solo ciò che è permanente, immutabile, eterno e
si trova in ogni luogo. Da ciò comprendiamo come l’eternità sia il fondamento
di qualsiasi espressione temporale che si sovrappone ad essa.
In noi sono presenti tutti i livelli di realtà. C’è lo
spazio, il tempo e l’eternità; e la nostra identità reale è la pura coscienza
disidentificata da qualsiasi veicolo. Con il termine veicolo descriviamo i vari
corpi coi quali noi coscienza ci identifichiamo. Il più grossolano e ben
visibile-percepibile è il corpo fisico. Poi viene il corpo energetico e quello
mentale. Ce ne sono altri che non prenderemo in questa sede in considerazione.
Basti ora comprendere che ogni veicolo, detto anche corpo, è qualcosa che
utilizziamo. E il soggetto del verbo utilizzare siamo noi coscienza.
Il tempo, il divenire, è il modo in cui la mente comprende il
mondo.
La coscienza è purezza informale. La nostra vera identità è,
quindi, assenza di forma e di movimento. Nella coscienza non c’è il tempo, si
vive un presente infinito. La coscienza, ciò che siamo realmente, è pura
eternità.
Per quale motivo, quindi, viviamo schiacciati nella
dimensione temporale, con tutto ciò che consegue?
Questo accade perché noi coscienza, nella nostra infinita
possibilità espressiva, in questo momento ci siamo identificati con veicoli
formali limitati. Ci troviamo identificati, ad esempio, con un corpo fisico.
Non lo utilizziamo semplicemente, ma ci siamo talmente fusi in esso che
pensiamo di essere proprio quel corpo. E in questo processo di caduta, in
realtà molto più articolato di come lo stiamo qui descrivendo, abbiamo perso la
coscienza della nostra vera natura eterna.
Ciò comporta l’assumere i limiti del corpo con cui ci
siamo identificati.
Il processo di risveglio, espresso nella formula alchemica solve et coagula, richiede la
disidentificazione (solve) da tutti i corpi formali per ritornare al fondamento
(coagula) della nostra identità.
L’eternità non è quindi qualcosa di distante, ma è la
dimensione più intima di ogni essere.
L’assenza di pensiero, il silenzio degli iniziati, ci mette
nella possibilità di ritornare in quello stato naturale di assenza di tempo,
comprendendo per consapevolezza diretta lo stato dell’eternità.
Dal luogo dove tutto permane, in cui termina l’illusione del
divenire, possiamo osservare la realtà spazio-temporale in piena
consapevolezza, sapendo di non essere ciò che inizia e un giorno finirà.
S.G.M. dell’Ordine
Arjuna