sabato 19 dicembre 2015

Sugli Scopi dell'Ordine dei Cavalieri Eidon e il suo Insegnamento




Allegoria della “Caverna di Platone” di Jan Saenredam

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon nasce per l’istanza dei Nobili Cavalieri fondatori, i quali non hanno alcuno scopo se non quello di condividere quanto hanno ricevuto dalla Conoscenza Metafisica Tradizionale.
Essi intendono lasciare un seme della Suprema Conoscenza dell’Essere, che sarà raccolto dalle coscienze qualificate a tale intendimento.
Per comprendere il vero significato degli scopi dell’Ordine e dell’Insegnamento che esso evidenzia, è necessario esporre alcuni dei significati predominanti che riguardano tale orizzonte operativo, pur non potendo colmare questa occorrenza con il presente articolo.




LA METAFISICA

Cos’è dunque la metafisica tradizionale?
Essa studia e realizza nell’iniziato l’Essere in quanto tale, di là delle sue infinite possibilità espressive. Si tratta della dimensione della Realtà assoluta nella sua forma non-duale.
La non dualità oltrepassa la realtà relativa dei nomi e delle forme. Essa rappresenta l’Essere nel suo stato assoluto, eterno, permanente, incausato, possibilità stessa di ogni rappresentazione.
Questa Conoscenza afferma che esiste un’Identità Coscienziale tra tutti gli esseri. L’unica sola realtà è quindi questa Coscienza unica e assoluta.
Tale affermazione, se non compresa, suona pericolosa per molte tradizioni religiose o filosofiche, le quali vengono tramandate sul piano della dualità, che descrive una condizione separativa tra l’Essere supremo e gli enti particolari.
Per cogliere meglio tale rischio, sviluppiamo il concetto di non dualità fino alle sue ultime conseguenze nella dimensione umana.
Se è reale solo un’unica Coscienza, anche l’individuo, la singola persona, quindi, è quella Coscienza indivisibile ed eterna.
Ora, iniziamo a comprendere perché, se non intendiamo il significato profondo di questa asserzione, in un attimo, ci troviamo ad entrare in conflitto con quasi l’intera conoscenza spirituale e filosofica dell’umanità.
Il peccato maggiore, sul piano religioso, parla dell’uomo che vuole identificarsi con Dio.
Un saggio, a questa accusa che ignora la Realtà metafisica, sorriderebbe e tornerebbe nel suo silenzio…
Come uscire dal malinteso? L’uomo vuole realmente diventare Dio o, forse, è necessario far riferimento ad altri parametri di comprensione, in cui sia l’uomo che la comprensione di Dio diventano qualcosa di diverso da ciò che è stato attribuito ad essi dalla storia essoterica dell’umanità?
Cosa significa che siamo tutti quell’unica Coscienza, ed essa è Dio, e quella siamo anche noi?
La domanda ben formulata è: Come può Dio, l’Assoluto, che è il Tutto, non essere qualsiasi cosa?
Se non vogliamo rischiare di limitare le possibilità stesse di Dio, dobbiamo accettare che Esso sia il Tutto e, nella sua infinita possibilità espressiva, possa assumere qualsiasi forma. Gli enti particolari sono come scintille dello stesso fuoco. Dal punto di vista metafisico, Dio è l’argilla che può assumere varie forme nei molteplici possibili vasi. Ma la vera identità di queste variegate composizioni è sempre l’argilla, essa è la loro essenza reale.
Quindi, non si tratta della superbia umana, che vuole elevarsi a Dio, diventare come Lui, essere Lui stesso. La questione va compresa come svelamento della reale natura dell’ente uomo, in una dimensione informale dove emerge la sua reale Identità. L’uomo non può farsi Dio. Egli può rinunciare alla sua forma particolare per scoprirsi sostanza divina. Può quindi riconoscersi come Dio solo rinunciando alla sua apparente e contingente umanità.
Sul piano filosofico, l’affermazione metafisica, che è realizzativa, ossia porta nell’uomo la reale diretta realizzazione in sé di ciò che afferma la Tradizione, colma quello iato cristallizzato tra il fenomeno e il noumeno così come è stato affermato dal kant della “Critica della Ragion pura”.
In essa, il filosofo tedesco asseriva appunto che l’essere umano, il soggetto conoscente, può conoscere solo il fenomeno della realtà, ciò che è osservabile attraverso i limiti dei propri canali percettivi e razionali. Sarebbe impossibile invece comprendere il noumeno, la cosa in sé, la realtà per ciò che è realmente.
È utile soffermarci ancora un momento per chiarire cosa significhino questi termini così tecnici come l’Essere o l’Assoluto, l’Identità Coscienziale; questi sono tutti sinonimi. Nella filosofia, in senso accademico, queste espressioni sono rimaste sempre dei “concetti”. Molti filosofi hanno intuito il loro significato, ma non sono stati in grado di realizzarlo realmente, perché lo hanno compreso esclusivamente sul piano intellettivo della mente.
In questo Sovrano Ordine non ci riferiamo ad una comprensione concettuale della filosofia. Sul piano iniziatico, siamo interessati al Filosofo come amante della Conoscenza, ed essa è realizzativa, richiede un percorso per conseguire nella propria consapevolezza ciò che inizialmente viene appreso sul piano razionale.
Cosa intendiamo quindi col termine Essere? 
L’Essere, dalla prospettiva della Metafisica tradizionale, nella visione non duale, è la vera nostra Identità, come è l’Identità reale di tutti gli enti in manifestazione, cioè le indefinite forme di vita in cui questa Coscienza assoluta si manifesta continuamente, in questa apparenza di realtà.
Parlando della Manifestazione Universale, della Creazione, del mondo nel senso largo del termine, qualcosa che va quindi dal piano fisico ai più alti livelli spirituali, insomma l’intera apparenza dell’Essere nel mondo duale dei nomi e delle forme, si deve utilizzare il significato di realtà relativa.
Perché, dal punto di vista tradizionale, non può essere reale ciò che non sia sempre presente. Tutto ciò che ha un inizio e una fine, che in un momento dello spazio-tempo c’è e in un altro momento no, non può avere la qualità della Realtà, di ciò che è vero. L’Essere, che è in assoluto vero, è sempre presente, è eterno, è la possibilità assoluta a priori di qualsiasi dimensione.
Questo Essere è presente in tutti, è identico in tutti gli esseri esistenti nelle forme.
L’operazione che porta nell’iniziato lo svelamento di questa eterna Essenza, fa vedere, per esperienza diretta, che tutto questo è reale. Nel momento del risveglio alla nostra reale natura di essere, viviamo realmente la Verità dell’Insegnamento che, a chiare lettere, afferma che siamo tutti un’unica Coscienza.
Prima di arrivare alla realizzazione ultima, però, c’è un passaggio ineludibile che equivale a conseguire in noi l’Universalità. La Coscienza Universale porta un allargamento della spazialità coscienziale dell’individuo all’interezza della Manifestazione. Per spazialità coscienziale intendiamo ciò che possiamo contenere-comprendere nella nostra consapevolezza. Nell’iniziazione all’universalità passiamo dall’io al noi, si percepisce la propria consapevolezza in unità con l’intera Manifestazione. Un esempio è appunto quell’amore che nasce dalle espressioni della santità.
La realizzazione metafisica, e questo è ciò che persegue il nostro Sovrano Ordine, è invece la attuazione finale dell’Essere, dell’Assoluto, già da sempre presente in noi in una condizione potenziale.
Questo stato, ancora di più di quanto accade per qualsiasi altra esperienza fenomenica, per essere compreso deve essere realizzato. Abbiamo comunque a disposizione delle metafore che i Saggi ci hanno lasciato a testimonianza della Realtà della nostra Coscienza reale in forma soprattutto letteraria.
Riportiamo due scritti poetici di un grande Maestro Advaita, H. W. L. Poonja, a beneficio di una maggiore comprensione di questa esperienza-non esperienza.
Qui,
Qui è quel vino che nessuno conosce.
Ogni cosa è nel qui che è coscienza,
il substrato di tutto l’universo.
Quello tu sei, e abiti in ogni atomo di ogni molecola;
anche lo spazio e il tempo traggono esistenza da te.

Chi è consapevole che stai indossando un corpo e una mente,
e che il movimento della nascita e della morte
è sempre all’interno di questa coscienza?

Tu sei Quello. Tutto il fare e il non fare,
ogni molteplicità e ogni unità, sono nella coscienza.
Schiavitù è ignorarlo, libertà è saperlo.

Tu sei Quello. Tu sei Quello!”

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“Io sono l’oceano, e ogni forma visibile
È un’onda che danza in me: questa è la conoscenza.

Quando le onde si alzano, l’oceano non perde nulla;
e quando le onde ricadono, l’oceano non guadagna nulla.

Come le onde giocano, così l’oceano gioca.
Io sono oceano, Io sono acqua, io sono onda;
non c’è mai separazione tra acqua, oceano e onda!

Non ci sono diversità né turbamenti,
e nessuno che venga turbato.

Far emergere un io, o qualunque altro pensiero,
è far emergere un’onda.
L’acqua rimane acqua.
Lascia quindi che ogni cosa sia, poiché è il tuo stesso Sé.

Come il fiume sfocia nell’oceano,
dissolvi te stesso in ciò che sei:
felicità, beatitudine, Essere, universo.

Qui c’è solo consapevolezza,
Qui solo il Sé è”.

Quando parliamo, invece, di conoscere la “cosa in sé”, in realtà non ci riferiamo all’osservazione scientifica e oggettiva di qualcosa fuori di noi. Il significato di questo conoscere si deve intendere come coincidenza tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. Solo quando ciò che intendiamo conoscere coincide con la nostra stessa essenza possiamo ben dire di Conoscere realmente.
Quindi, ripetiamolo, la Realtà, la Verità, è Una sola, non duale, sempre eterna e permanente. La realtà spazio-temporale in cui ci troviamo in quanto enti particolari, individui, è certamente vera, ne abbiamo un’evidenza forte. È reale la sua fisicità e sono reali le nostre emozioni nel momento che le sperimentiamo. La sofferenza esiste, esiste anche la gioia. Sono reali il male e il bene e tutti gli opposti di questo piano di esistenza. Essa è semplicemente relativa e impermalente.
Rileviamo, ora, che molti ricercatori si bloccano nel cammino metafisico verso il Reale, perché pensano di perdere la loro coscienza di esistere. In questo terribile, ignorante malinteso nichilistico, essi hanno la sensazione fallace che la rinuncia ad essere un individuo particolare sia un perdersi in un nulla assoluto, dove non siamo più coscienti, in un sonno profondo ed eterno.
Per dissolvere questa nefasta convinzione possiamo ricorrere alla descrizione metaforica che la tradizione vedica da dell’Assoluto. Esso, per la Coscienza risvegliata è Sat, Cit, Ananda. Essere, Coscienza e Beatitudine assoluti.
Analizziamo il significato di queste parole.
“Essere” significa esistere nella assoluta Realtà. È l’esistenza piena e totale. In quanto Essere esistiamo realmente come mai in altro modo esistenziale.
“Coscienza” è la dimensione dell’assoluta consapevolezza. Questo termine, che descrive la Coscienza totale della dimensione di risveglio alla nostra reale Identità, porta in sé il significato di “essere pienamente coscienti proprio di esistere”. Possiamo ben dire che tale realizzazione sia la dimensione diametralmente opposta alla paura di annichilirsi, in una notte oscura dove non c’è più la percezione di essere esistenti.
Per quale motivo alla dimensione dell’Essere e della Coscienza segue quella della “Beatitudine”?
A questo quesito potremmo affiancarne un altro: perché dall’Eternità o, parlando della piccola storia del nostro pianeta, per millenni esseri particolari come gli uomini si sono messi in cammino e hanno ricercato e realizzato l’Essere, fatto questo che avviene ancora oggi?
L’Essere, nella sua essenza, può qualsiasi cosa e, in ciò, non gli è preclusa neanche l’esperienza della sua momentanea dimenticanza di ciò che è realmente. Questa è la sua natura. Tutto gli è possibile, nulla gli è precluso.
Immaginiamo un Assoluto che non possa esperire qualsiasi forma, come anche il soffrire e l’ignoranza. Sarebbe un Assoluto relativo e, in un attimo, perderebbe la sua totalità, in una deriva illogica del suo significato interno.
La Coscienza assoluta, per la Conoscenza metafisica, ha la possibilità di perdere momentaneamente la sua consapevolezza e può assumere delle forme particolari nell’apparenza del sogno esistenziale di queste. Parliamo di “apparenza” o ci riferiamo alle forme, considerando però che nel sostrato di ogni possibile espressione formale è sempre presente l’Essere. Esso è il telo di fondo dell’apparenza contingente e impermanente del divenire. Così come accade nella dimensione umana. In noi c’è sempre la misura della Totalità, ed Essa è semplicemente obnubilata dall’identificazione che attua, temporaneamente, con una coscienza individuale-particolare.
In questo viaggio momentaneo, l’Essere perde apparentemente Sé stesso e sperimenta l’assenza e la sofferenza. Identificato con corpi particolari e limitati subisce le loro limitazioni e le fa proprie.
L’intero percorso verso il risveglio alla non dualità, frutto di conoscenza e realizzazione dei Grandi Misteri, consiste nel separare la nostra Essenza divina dall’identificazioni con la mente egoica e le altre forme coscienziali, per riconoscersi e rifondarsi nella propria reale natura. Passaggio ben descritto dalla Alchimia spirituale nella sua figura del “solve et coagula”. Questo consegue il superamento della necessità, della perdita e della sofferenza. È lo stato del puro Amore, dell’Unità totale, dove tutto è Uno. L’espressione più giusta per descrivere metaforicamente l’esperienza di questa Totalità è “Beatitudine” assoluta, Ananda, per quello che il linguaggio riesce ad esprimere.
Ciò che è formulato in questo articolo, in estrema sintesi, è la Conoscenza Metafisica che l’Ordine intende seminare per chi vorrà raccoglierla.
Non è una sapienza particolare. Essa è la Suprema Conoscenza dell’Essere e, in quanto tale, non è superiore a nessun’altra forma dell’insegnamento; semplicemente, è oltre ogni possibile dualità. Non si occupa dei fenomeni della realtà relativa, ma del suo sostrato, della possibilità stessa che appaiano delle forme.
Non si tratta nemmeno di avere la pretesa di sostenere un nefasto relativismo religioso. Ogni religione, ogni tradizione, ha una sua particolarità e questa va rispettata. La Metafisica si pone su un piano completamente diverso, non si occupa di espressioni particolari, di grammatiche che descrivono Dio in manifestazione.
La non dualità si occupa di Dio a priori, prima del suo manifestarsi nelle forme e nella storia. Aspira all’Eterno sempre presente, dietro le pagine dello spazio e del tempo. L’Eternità è in ogni infinitesimale frammento di cosmo, su tutti i piani, dal fisico grossolano, ai livelli più alti del cielo. L’Eterno è ogni elemento, è la sostanza di qualsiasi forma e, da questo punto di vista, è la nostra Identità reale.

LA CONSACRAZIONE DELL’ORDINE

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon rispetta ogni tradizione filosofica e qualsiasi religione, purché lavorino alla Gloria di Dio, per l'amicizia tra tutti gli esseri umani.
L’Ordine, come recita la parte iniziale della sua “Regola”, si consacra a Gesù Cristo e alla sua Santissima Madre, perché riconosce la loro responsabilità verso l’umanità. Elegge invece come suo protettore San Michele Arcangelo, giacché conosce la sua realtà oggettiva e il ruolo tangibile che ha nella Manifestazione Universale.
Nascono, ora, ulteriori domande.
Come può l’Ordine avere cognizione di quale sia la realtà del Cristo, della Madonna e dell’Arcangelo Michele? E, inoltre, come entrano Essi in un contesto che si rivolge alla non dualità, che per sua natura interna non è orientata verso ciò che è manifesto e duale, piano in cui si rappresenta anche un Principio divino nella sua espressione formale?
La Conoscenza non duale, è vero, si rivolge alla realizzazione dell’Essere che sta oltre la Manifestazione, è il telo bianco su cui si proietta la creazione, come un dipinto su una tavolozza bianca.
Il processo di disidentificazione dell’Assoluto in noi dalle forme, però, non può prescindere dal vivere nell’armonia con l’intera Manifestazione Universale.
L’uscita dal sogno esistenziale in cui ci troviamo, pur essendo noi stessi l’Assoluto Essere, comporta una vita in accordo con il creato, che in termini tradizionali, chiamiamo, appunto, “Manifestazione Universale”.
Se è vero, quindi, che dal punto di vista dell’Assoluto, ogni dualità, compreso il bene e il male, si scioglie in un Tutto Uno, è anche vero che sul piano della realtà relativa spazio-temporale la dualità esiste e mostra continuamente i suoi effetti.
Lo svelamento della Verità in noi, non può eludere l’armonizzazione di tali valori polari. Prima di poter giungere all’Identità coscienziale con tutti gli esseri, dobbiamo riconoscerci nell’intera Coscienza Universale. Questa è la grande iniziazione all’Universalità descritta così bene dall’esperienza dei Santi. Ricordiamo fratello Sole e sorella luna, così come fratello lupo, e fratelli e sorelle tutti gli esseri? Questo è l’Amore Universale, e la realizzazione dello stesso è una condizione “sine qua non” per poter svelare l’Assoluto Essere che siamo realmente.
Gesù insegnava: “Non si può arrivare al Padre se non tramite Me”.
Gesù, che in Sé è anche il Padre, ci dice che non si può arrivare all’Assoluto Padre se non tramite la realizzazione universale con tutti gli esseri, che la sua Cristicità ha mostrato nella storia umana.
Dobbiamo considerare, quindi, la dimensione duale con cui ci troviamo ora identificati, immersa nella dialettica tra bene e male. Tutto questo rinunciando all’etica umana, che è sempre frutto relativo di una forma-pensiero, e affermando in noi quell’etica originaria fondata sulla reale nostra essenza. Il fulcro della stessa è la consapevolezza. E, operando la necessaria rettificazione in noi, scopriamo che la consapevolezza, la presenza a noi stessi, diminuisce ciò che è male e aumenta tutto quello che è bene. Essa è la chiave dell’Amore Universale, e il vero Amore è sempre l’amore per tutti gli esseri.
Molte tradizioni hanno lavorato alla Gloria di Dio, e hanno messo in pratica quello che ha insegnato Gesù senza conoscerlo. Lo hanno fatto ascoltando altri saggi uomini o altri emissari del Padre.
Questo Sovrano Ordine conosce la grande responsabilità del Cristo e della Madonna in quest’opera di emancipazione dell’intera Coscienza Planetaria, e non può prescindere da questa comprensione. Certo, lo Spirito Santo, la Coscienza Divina in manifestazione, nella sua Unità Trinitaria, è presente in molti luoghi e in varie tradizioni. C’è un fulcro, però, di tale potenza Spirituale dell’Essere che è fissato nel Cristo, il Quale ha il compito di portare questa umanità alla Casa del Padre.
L’Ordine, si pone in tale responsabilità e si consacra quindi nella stessa.
Alla domanda che abbiamo posto, circa la certezza che l’Ordine ha della realtà del Cristo e della sua continua Opera fra tutti noi, possiamo qui far riferimento alla possibilità di fare esperienza del piano spirituale manifesto con più canali conoscitivi, dal fisico percettivo a quello animico del cuore, fino al silenzio spirituale di “comunione”. Non riteniamo opportuno, in questa sede, dare però prova o informazione di queste possibilità di verifica, e lasciamo alla ricerca personale di ognuno l’esperienza della veridicità di tali affermazioni, non essendo questo lo scopo del nostro lavoro.
Esposto in sintesi il motivo della consacrazione dell’Ordine, è necessario chiedersi come esso intenda consegnare la conoscenza Non Duale.

L’INSEGNAMENTO NELL’ORDINE E IL VEDANTA ADVAITA

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon agisce nell’insegnamento attraverso la catena iniziatica ininterrotta dei Maestri del Vedanta Advaita, in quanto questa Tradizione è a tutt’oggi una meravigliosa Conoscenza attiva e realizzativa.
Ci sono stati nella storia molti insegnamenti metafisici, alcuni sono presenti ancora oggi, come lo è appunto l’Advaita.
Da una citazione di un testo di Raphael, Maestro Advaita dei nostri tempi, possiamo cogliere una sintesi dell’impostazione Metafisica e di alcune tradizioni che l’hanno tramandata nei millenni. Il testo è “La Triplice Via del Fuoco”, Ed. Āśram Vidyā, ora, Associazione Ecoculturale Parmenides.
La metafisica va di là da tutte le scienze profane e anche sacre, quindi non è cosmologia, né ontologia che fa riferimento all’Uno principiale. Il sentiero metafisico, in riferimento alla Qabbālāh, è quello dell’Ain Soph, all’Alchimia è quello che risolve lo stesso Zolfo, al Vedānta è quello del Nirguṇa o Turīya. Per Platone-Plotino è la realizzazione dell’Uno-Bene, che trascende lo stesso Essere o Uno Molti”.
Il nostro Sovrano Ordine, per mostrarsi, ha utilizzato un nome greco, Εĩδον, tempo aoristo del verbo greco Οράω (vedere), per il quale è stato presentato un articolo dedicato in questo blog, dal titolo: “Εĩδον – vedere, conoscere, sapere”. Questo termine, consigliato da Raphael per questa nostra intenzione, descrive, nei termini occidentali, quello stato di realizzazione non duale che, di per sé, non può essere limitato ad un contesto tradizionale particolare. Questo termine vuole testimoniare l’Unità sottostante a tutti i rami della Tradizione Metafisica. La quale ha mostrato “… quella Realtà assoluta che costituisce il fondamento del divenire e che è prospettata dagli insegnamenti tradizionali dell’Occidente e dell’Oriente: l’Uno-Uno o Uno-Bene di Platone, l’Uno di Plotino, l’Uno-senza-secondo di Śaṅkara”. (Dalla seconda di copertina del libro “Fuoco di Risveglio – unità nel cambiamento”, Raphael, Ed. Āśram Vidyā).
L’Unità della Tradizione metafisica nella sua universalità è, quindi, il nostro bagaglio iniziatico essenziale. Tuttavia, come già evidenziato, l’Ordine studia e pratica l’operatività particolare del Vedanta Advaita.
Se un percorso iniziatico è reale, pur riconoscendo l’universalità della Conoscenza non duale, nelle sue molteplici forme, deve praticare un solo Insegnamento, perché ogni forma di questo ha una sua particolare modalità operativa, che non può essere elusa dall’ingenuità o dalla dannosità di qualsivoglia forma di sincretismo iniziatico.


LE SCELTE FORMALI DELLA STRUTTURA DELL’ORDINE E LA NON DUALITA’: L’AZIONE DELLA CAVALLERIA E LA CONTEMPLAZIONE METAFISICA

Intendiamo ora chiarire per quale motivo quest’Ordine abbia scelto l’Investitura Cavalleresca per portare un seme della Conoscenza non duale, la quale sta oltre qualsiasi forma o ritualità.
La causa di questa scelta è comprensibile se risaliamo agli scopi dell’Ordine.
A chiarimento di questo passaggio, è citata una parte della “Prima Ordinanza” del Sovrano Gran Maestro dell’Ordine, letta la notte della fondazione.
In essa si risponde anche a chi, inizialmente, ha giudicato questo progetto iniziatico proprio come un sincretismo inopportuno e inutile, dal quale l’Ordine stesso si distanzia con forza, eleggendosi a custode della correttezza della grammatica operativa dell’Insegnamento. Questa critica è espressa su due proposizioni.
La prima riguarda l’aver unito l’Investitura Cavalleresca cristiana al significato della cavalleria nella tradizione vedica, che fa riferimento alla figura dello Ksatriya.
La seconda contesta l’utilizzo di un sistema rituale e formale per presentare qualcosa di informale come la metafisica.

Da molti anni portiamo un seme della Conoscenza Advaita, ed essa, a buon diritto, è stata sempre presentata per la sua reale natura. L’Advaita è l’ultimo dei sei livelli della filosofia indiana legata ai Veda e alle Upanishad. Essa è la Via diretta del Fuoco e porta all’Essere senza alcun filtro, scavalcando ogni possibile forma o tecnica iniziatica; utilizza esclusivamente la Conoscenza, la Verità, e porta da subito alla necessità del silenzio come stato ottenibile solo con la comprensione.
Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon non è stato, però, fondato per testimoniare la Divina Conoscenza non Duale dell’Essere; ma, piccola-enorme sfumatura, è nato dall’istanza di portare la stessa all’interno di una Tradizione, quella occidentale, che attualmente non conosce possibilità iniziatica che superi il confine del simbolo, del rito, delle tecniche e, diciamolo senza remore, non ha attualmente la minima idea di cosa sia l’Essere se non, nel migliore dei casi, per quello che si può apprendere su un piano strettamente culturale o concettuale.
Cosa fare quindi per rendere efficace il nostro intervento?
Per sconfiggere il nemico è necessario imparare a mangiare come lui…
Oppure, prima di convincere qualcuno a superare le proprie convinzioni dobbiamo dargli ragione… Così come è impossibile insegnare il silenzio comandando “Non pensare!”
Potremmo proseguire con queste immagini metaforiche all’indefinito; ma, ormai sembra chiaro, l’aprire la possibilità della Conoscenza in un contesto strutturato e immerso in convinzioni particolare, richiede astuzia iniziatica non alla portata di tutti.
È necessario quindi giocare con una grammatica già esistente e tenacemente persistente, che ha la sua oggettiva efficacia fino ad un certo livello; ma, semplicemente, non è più adatta ai nostri obiettivi.
Nobili Cavalieri, abbiamo creato una struttura formale, rituale, a volte anche complicata, da migliorare e raffinare nel tempo. Ma, all’interno di essa c’è un virus potentissimo che è capace di sciogliere qualsiasi ostacolo che l’ignoranza pone sulla sua strada; e questo virus si chiama Conoscenza.
Abbiamo scelto di utilizzare il rigore e lo status iniziatico del Cavaliere, creando un ponte di senso tra la Cavalleria occidentale Cristiana e lo Ksatrya indiano. Comprendendo la particolare iniziazione legata alla cavalleria, che è l’azione. Ma lo abbiamo fatto per portare nella nostra coscienza quella comprensione dell’azione-non-azione, l’azione immobile, senza attaccamento o scopo, passaggio indispensabile alla comprensione dell’Essere metafisico.
Tutto ciò non con l’errata intenzione di degradare ad un gradino precedente la Conoscenza metafisica, ma perché l’azione e il rito sono ciò che nell’esoterismo occidentale c’è ed è presente, oltretutto, su un livello essoterico e degradato. Il processo che ricerchiamo è sacralizzare quindi ciò che ora è presente nel luogo della nostra semina per aprire spazi di profonda trasformazione dove non rimarrà più forma e movimento”.



Arjuna, Eques A Silentio

Dalla Città Eterna, il dì 17 dicembre dell’anno del Signore 2015.

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