domenica 6 dicembre 2015

Sulami: La Cavalleria Spirituale



La Cavalleria Spirituale



Il tuo Istante è la cosa più importante che hai; occupatene come della cosa più importante.

(Sulami, pag.54)




Nella sconfinata letteratura sugli ideali e le forme della Cavalleria medioevale, spicca l’opera di Sulami (Abd-er-Rahman es Sulami, 937 – 1.021), La Cavalleria Spirituale, profondamente improntata dalla spiritualità Sufi; opera dedicata ai membri della Futuwwa (Cavalleria), che - in definitiva - non combattono materialmente la guerra ordinaria, ma sono quelli che combattono la ''grande guerra santa'' all'interno di se stessi, contro i difetti e le tendenze individuali e ''separative''.

 

L’Opera è costruita riportando - in nome di DIO - i precetti essenziali della vita cavalleresca, vero e proprio vademecum comportamentale per il Cavaliere che voglia raggiungere i propri nobiliari obiettivi in perfetto equilibrio fisico, animico e Spirituale.

In questo contesto, Sulami indica una via – reputiamo – semplice, se non addirittura elementare (cercare l’unione e la concordia con gli altri, abbandonare l’orgoglio, amare disinteressatamente, senza pretese e senza risentimenti, essere comprensivi e indulgenti con gli altri e inflessibili con se stessi, …) che, se messa in pratica unicamente con lo scopo di essere in conformità con il Principio, è volta a condurre all’unione con Esso e alla conoscenza per mezzo Suo.

Possiamo asserire che i precetti del Cavalierato Spirituale mirano innanzitutto a concedere la Vera Libertà: “E’ tipico della cavalleria essere liberi dai modi di essere (Akwan) e da ciò che essi implicano” (pag.37).

E ciò attraverso l’esercizio della Conoscenza: “E’ prerogativa della cavalleria che nell’apprendimento il servitore ricerchi la conoscenza; che nella conoscenza ricerchi lo svelamento; e che nello svelamento ricerchi la contemplazione con la realizzazione” (pag.39).

Il tutto animato da una profonda aspirazione all’Elevazione: “E’ tipico dei cavalieri che il servitore sia consapevole della sua mancanza in ogni situazione e che non sia mai soddisfatto della condizione in cui si trova; … finchè per lui non cessi qualisiasi desiderio…” (pag.43)

La distruzione o comunque il combattimento contro gli idoli operato dal Fata (Cavaliere Sprirituale) rappresenta la distruzione dell’Idolo di ogni uomo, che è la sua individualità considerata e vissuta come indipendente dalla sua causa. Quindi il vero Fata è colui che si oppone alle proprie passioni e che si sforza di agire solo per Dio. Tutte queste caratteristiche rendono il Cavaliere Spirituale un ricercatore del rapporto diretto e sincero con il Principio, rapporto che - secondo la Tradizione Sufi - deve per necessità restare nascosto agli altri uomini. E per questo motivo, la cura dei precetti esteriori è vista come rigorosamente strumentale e orientata alla progressiva purificazione interiore sino alla definitiva elevazione.

Infatti, la Futuwwa (Cavalleria Spirituale), benchè determinata da un certo tipo di comportamento esteriore, è innanzitutto un metodo di sforzo interiore, ed è per questo che al termine “cavalleria” aggiungiamo l’aggettivo “spirituale”. Se non si tratta dell’esaltazione di gesta guerriere compiute sul campo di battaglia. Esiste comunque una stretta relazione con la guerra intesa nel suo senso simbolico. Il simbolismo della guerra si incontra in diverse tradizioni. Lo si trova nel medioevo cristiano, con le imprese cavalleresche, e lo si trova nella tradizione indù, in particolare, nella Bhagavad-Gita: la battaglia di cui si tratta in questo libro rappresenta l’azione in maniera del tutto generale, ma in una forma appropriata alla natura e alla funzione degli Khsatriya, ai quali il libro è più in particolare destinato. E gli Khsatriya, casta della nobiltà, contraddistinta dall’eroismo, dal coraggio e dal senso dell’onore, corrispondono esattamente alla nobiltà cristiana del Medioevo. Il campo in cui essi svolgono la loro battaglia è l’ambito dell’azione, nel quale l’individuo sviluppa le sue possibilità.

Si può dire che la ragion d’essere essenziale della guerra, da qualsiasi punto di vista e in qualunque ambito la si consideri, è quella di far cessare un disordine e di ristabilire l’ordine; in altri termini, si tratta dell’unificazione di una molteplicità attraverso l’impiego di mezzi che appartengono al mondo stesso della molteplicità” (Guenon, “la guerra e la pace”). Questa unificazione all’interno della Futuwwa, trova la sua esemplificazione esteriore nella ricerca della concordia e dell’armonia con tutte le creature.
Chi giunge alla perfezione di questa via ottiene la “Grande Pace” che, secondo il Guenon, è veramente “la presenza divina” (Es-Sakinah), l’immanenza della Divinità nel punto che è il Centro del Mondo; identificandosi, in virtù della sua unificazione nell’Unità principale stessa, egli vede l’unità in tutte le cose e tutte le cose nell’Unità, nell’assoluta simultaneità dell’Etrerno Presente.
Anzi, a proposito dell’Eterno Presente, nel testo, alla domanda “Quando il Discepolo si sbarazza della sua Anima?” il Maestro risponde: “Quando non vede per sé altro oltre all’Istante in cui si trova(pag.12).

Potremmo asserire, a questo punto, che chi è giunto al termine di questa via è giunto alla “verità immutabile”; “il segno esteriore di questo stato interiore è l’imperturbabilità; non quella del valoroso che per amore della gloria si getta da solo contro un esercito schierato in battaglia, ma quella dello spirito che, superiore al cielo, alla terra, a tutti gli esseri, abita in un corpo al quale non tiene, non fa caso alcuno alle immagini che i sensi gli forniscono, conosce tutto per conoscenza globale nella sua unità immobile” (Chuang-Tzu, cap.V).


 


E' peculiare della cavalleria portare a termine l'Opera che si è cominciata... (pag.51)




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 Eques a Zelante





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