Per chi intenda affrontare un
percorso spirituale diretto alla soluzione finale della sofferenza è necessario
riflettere su due termini fondamentali: la fede
e il dubbio.
Il primo livello di significato che è
evocato da queste due parole, all’istante, ci porta verso i temi legati alla
religione e a ciò che, senza sosta, hanno cavalcato gli scettici nella loro
controffensiva verso di essa. In questo senso, se la fede è stata lo strumento
della rivelazione religiosa, il dubbio scettico ha proposto una visione
relativa e castrante, che non ha permesso alla mente di elevarsi oltre i limiti
che essa stessa generava.
Questo scritto non intende
contrapporsi alla religione e allo scetticismo, perché non è di nostro
interesse la contrapposizione in sé, rispettando ogni espressione umana, a
patto che non contribuisca alla sofferenza dell’altro. (per quanto riguarda la
sofferenza autoprodotta, riportiamo l’affermazione di un grande Maestro dei
nostri tempi, il quale, per evidenziare la potenza della libertà fondamentale
in ognuno, afferma: “Ogni individuo ha il diritto di soffrire” - Raphael).
Qualsiasi espressione umana positiva
è la giusta produzione, in un dato momento, di una particolare coscienza. Il nostro
specifico interesse è, quindi, rivolto al significato dei due termini nella
coerenza dei progetti di ciascuno.
Questo comporta, sempre, un raffinato
lavoro alchemico sul linguaggio, che già in sé porta il seme della comprensione.
Non possiamo non partire, in questa
piccola opera di svelamento consapevole del nostro linguaggio, da quello che
comunemente percepiamo come significato di fede e dubbio.
La fede, nel senso della religione
occidentale, come avviene ad esempio nel cattolicesimo, legata ad un’accettazione
incondizionata dei dogmi ri-velati, annulla ogni possibilità di verifica
dell’insegnamento e, proprio per questa necessaria osservanza, necessita di un
intermediario che la presenti nella sua intoccabile e non verificabile verità. L’intermediario
stesso, il sacerdote, vivendo nella “condizione umana”, è qualificato alla
conduzione del rito e alla trasmissione della ri-velazione, ma, non può
personalmente verificare l’attendibilità del dogma né, tantomeno, riflettere
sulla possibile relatività dello stesso. Con il termine “relatività”, vogliamo
sottolineare come i dogmi si mostrino spesso come l’espressione di una cultura
particolare e, proprio per questo, limitati dal tempo e dallo spazio.
Pur riconoscendo la religione come un
insostituibile mezzo di accesso al sacro, dobbiamo osservare che essa non sia
adatta a tutte le coscienze anche se, tuttavia, è funzionale a chi non abbia le
qualificazioni, in atto, per assumere in sé la Verità dell’Insegnamento.
Riportiamo, per chiarezza, due punti
del significato di fede, così come espressi nel vocabolario della lingua
italiana “Il Nuovo Zingarelli”, con riferimento alla tematica religiosa: “Adesione incondizionata a un fatto, a
un’idea determinata da motivi non giustificabili per intero dalla ragione”,
“Adesione dell’anima e della mente ad una
verità rivelata o soprannaturale non sempre dimostrabile con la ragione /
Complesso delle credenze che, in una religione, sono accettate come rivelate e
non discutibili”.
Siamo perplessi, in realtà, su un punto:
“… una verità rivelata o soprannaturale
non sempre dimostrabile dalla ragione”.
Non sembra, in piena coscienza, che
ci sia qualche affermazione della religione, quando fa riferimento al dogma,
che sia dimostrabile con la ragione; quindi, quel “non sempre” dovrebbe essere
espresso con un “mai”. A patto che non si voglia considerare una dimostrazione razionale
lo storico: “credo quia absurdum”. In altre parole, credo proprio perché la
rivelazione è talmente assurda che non può essere dimostrata dalla ragione
umana.
In termini più accettabili potremmo
dire, ora, che la rivelazione non è confinabile nei limiti logico-formali della
mente, ma va compresa con le facoltà dello Spirito. Questo punto finale è
proprio ciò che in ultima analisi ci interessa; ma notiamo come il livello
conoscitivo della religione, nel modo in cui solitamente è trasmessa e appresa,
non permetta la vera apertura della conoscenza spirituale nell’individuo. L’uomo
rimane un fedele necessitante della mediazione, del pontefice o di chi da lui è
autorizzato a spiegare Dio.
Occupiamoci ora del significato
consueto del termine “dubbio”.
Sempre nello stesso vocabolario, esso
è presentato così: “Sospensione
definitiva del giudizio dettata dalla convinzione di non poter mai giungere a
una certezza”.
È chiaro che, mantenendo questi
significati particolari di fede e dubbio (scettico), non sarà possibile
affrontare una ricerca spirituale che porti il ricercatore alla soluzione
definitiva della sofferenza e dello stato di necessità in cui si trova.
La presente riflessione è rivolta a
chi si ponga, come noi, nella prospettiva del risveglio alla nostra natura Non
Duale. E, per Non Duale, si intende la Coscienza unica ed eterna dell’Assoluto
Essere, che è riconosciuta, nell’insegnamento metafisico, come la nostra reale
identità. Tuttavia, queste riflessioni sui due termini di fede e dubbio sono
utili per qualsiasi livello della ricerca iniziatica. Da tale meditazione, la
fede e il dubbio si affermeranno come due strumenti operativi fondamentali nel
cammino della consapevolezza.
La soluzione della dicotomia tra fede
e dubbio sta nel comprendere questi due termini in un significato che li
avvicina, fino quasi a farli coincidere.
Ciò può avvenire, assegnando ad essi
questi significati trasmutati:
Fede = Fiducia
verso un Insegnamento che afferma una (la) Verità, le conoscenze e i processi
realizzativi, che potenzialmente sono verificabili da tutti in ogni momento e
in ogni luogo.
Dubbio =
impossibilità di accettare una verità ri-velata (velata di nuovo) che non presenti
la prassi operativa per essere verificata e realizzata, nel momento presente,
da ciascuno in sé.
In questo significato, il dubbio non
è più il “dubbio scettico”, ma coincide col “dubbio metodico” di sospensione
del giudizio che apre porte più espanse di comprensione. Il dubbio metodico ci
porta verso la sperimentazione/comprensione di ciò che non è familiare, noto,
già compreso. E questa è la condizione necessaria per avanzare nella
conoscenza, oltre i limiti delle nostre convinzioni.
Possiamo rintracciare questo significato
di dubbio anche nel senso iniziatico, molto poco compreso dai fratelli stessi, cui
si riferisce la massoneria. I liberi
muratori, uno dei termini per definire il massone, si aggettivano anche “uomini
del dubbio”. Essi affrontano la ricerca del “nosce te ipsum”, il “conosci te stesso” socratico, in assenza dei
dogmi e in piena libertà di ricerca, per mezzo della “Scienza Sacra”. Questa è
l’Insegnamento universale espresso dalle tradizioni in molti linguaggi, che
porta, attraverso la personale verifica, a Comprendere/Essere.
Per quale motivo è necessario conoscere
il significato profondo, iniziatico, di fede e dubbio?
Molte volte abbiamo incontrato
compagni di ricerca spirituale, devoti della consapevolezza, che diventano insofferenti,
fino a rinunciare in alcuni casi al percorso stesso, quando s’iniziano ad
affrontare i livelli coscienziali che vanno oltre il corpo e la mente. Essi,
pur necessitati a cercare risposte, si considerano liberi dai dogmi, ma si
scoprono, in seguito, irretiti nello scetticismo che li schiaccia in una forma
castrante di materialismo/ateismo “spirituale” senza possibilità. In realtà,
non ci sarebbe alcun problema in merito. Il solo limite è di non poter andare
oltre la coscienza del corpo, dell’energia che lo sostiene, e dei processi
della mente individuale. Questo livello di ottenimento fisico, pranico e
psichico, da un lato, non è affatto un mediocre risultato, dall’altro, è solo
il massimo che un “io” può realizzare.
È evidente che anche questo grado di
comprensione sarebbe per i più un sogno lontano; ma tutto questo, per quanto ci
metta nella possibilità di essere un uomo lucido, individuato e cosciente del
sé psichico, non ci libera dalla sofferenza. Perché la soluzione della
sofferenza sta oltre la coscienza individuale. Perché alla domanda: “In realtà,
chi è che soffre?”, dobbiamo rispondere "l’individuo". La vera
libertà va ricercata, verificata e, quindi, realizzata oltre lo stato
coscienziale dell’individualità, verso una coscienza più raffinata e aperta,
senza confini. E questo è il mondo dello spirito.
Il ricercatore, con perseveranza,
sotto la guida di un maestro (Chi ha realizzato in sé la Suprema Conoscenza
dell’Essere), deve sviluppare la silenziosa presenza consapevole nei vari gradi
esistenziali (della coscienza) presenti in ognuno di noi. Questo comporta
affrontare personalmente in sé tutti i veicoli manifesti e i loro attributi. E
tutto ciò comporta la non preclusione agli stessi, che si presentano come
momenti spirituali dell’esistenza.
Così accade che molti sedicenti
iniziati, in preda allo dubbio stagnante, scambino la via iniziatica, con
evidente atteggiamento illogico, per una forma atea (senza possibilità). Il
loro scetticismo gli preclude qualsiasi possibilità di andare oltre il corpo e
l’io psicologico. Essi vorrebbero realizzare la liberazione dalle forme, progettando
la soluzione dell’intera realtà esistenziale (nella sua totalità), ma accettano
come reale solo la coscienza mentale. Escludono la possibilità che ci sia una
realtà non fisica e la presenza indefinita di stati e luoghi in essa, che siamo
soliti chiamare “soprannaturale”.
Sarebbe come dire “Voglio andare in
America senza una carta geografica”, o magari, “Posso andarci, ma tra il luogo
in cui mi trovo e l’America non c’è né il mare né il cielo, e, in realtà, non
penso che la loro presenza sia necessaria”, ecc. In questo senso i massoni, tra
le varie qualifiche, richiedono ai “bussanti” la dichiarazione di credere
nell’Essere Supremo, di là dalle sue possibili rappresentazioni. Come sarebbe
possibile, in effetti, realizzare il Divino che è in noi senza credere che Questo
esista?
Detto ciò, ci chiediamo: come
possiamo affrontare un percorso che ci porti al superamento della sofferenza,
oltre l’individualità limitante e i rimanenti stati esistenziali che possediamo
nella nostra coscienza?
Com’è possibile comprendere l’Assoluto
che noi stessi siamo o, comunque, affrontare la pur minima parziale realizzazione,
senza avere una grande fede?
Ritorniamo, quindi, al significato di
fede e dubbio, ma espressi nel loro valore iniziatico.
A questo scopo è interessante citare
alcuni brevi passi del libro di Sharon Salzberg: “Fede”, (Ubaldini Editore,
Roma 2003. Le citazioni sono prese dal capitolo “Verificare la fede”, pagg.
54/55), perché essi esprimono, in estrema sintesi, la raffinata dialettica tra
fede e dubbio, così come qui la intendiamo. In assenza di quest’accordo
operativo tra di essi diventa impossibile procedere nel processo iniziatico
realizzativo.
“Se
la fede viene separata dalla ricerca razionale si riduce a una pratica per
creduloni”.
“Nel
buddhismo, la distinzione tra fede e credenza risiede nel mettere alla prova
ciò che viene detto. ‘Mettilo in pratica’, ha detto il Buddha, ‘e se scopri che
conduce a un tipo di saggezza che è come guardare un muro e poi il muro crolla
e vedi in maniera sconfinata, allora puoi fidarti’. Indipendentemente da cosa
mi dicevano i maestri, rimaneva una credenza fino a che non lo sperimentavo”.
“Per
poter approfondire la fede, dobbiamo essere capaci di mettere alla prova le
cose, di chiedere, di dubitare. La fede viene infatti rafforzata dal dubbio,
quando il dubbio è un’indagine critica e sincera combinata con una profonda
fiducia nel nostro stesso diritto e nella nostra capacità di discernere la
verità. Nel buddhismo questo tipo di indagine è conosciuta come ‘dubbio
salutare’. Perché il dubbio sia salutare dobbiamo essere sufficientemente
vicini al problema in discussione da esserne interessati, e tuttavia abbastanza
aperti da lasciare che il dubbio si manifesti. Diversamente dal dubbio
salutare, che ci porta più vicino a esplorare la verità, il dubbio non salutare
ce ne allontana”.
In questi passaggi di Sharon
Salzberg, ci sono tutti i soggetti di questa nostra riflessione. C’è la “fede
religiosa” che non prevede la messa in discussione dei suoi dogmi, non accettando
un percorso di realizzazione effettiva e personale. C’è il “dubbio scettico”
(non salutare) che non ci permette alcun avvicinamento alla conoscenza
superiore. Ci sono la “fede” e il “dubbio salutare” che insieme concorrono alla
realizzazione della verità svelata e presente in noi stessi, attraverso l’apertura verso la possibilità che ci sia
una Verità e che sia sempre presente in noi stessi come nostra vera Identità.
Possiamo quindi considerare la fede come l’apertura di un orizzonte di
senso che si offre alla Verità nella sua assolutezza.
Dobbiamo osservare però come questa apertura verso il Vero, per essere
funzionale e operativa, debba, inizialmente, essere “incondizionata” e “indubitabile”.
Nel senso del nostro percorso di risveglio all’Assoluto, l’apertura è uno stato ontologico di svelamento della nostra
possibilità di Essere la Verità stessa. È una condizione necessaria per poter
compiere qualsiasi cammino. Non può essere considerato un momento operativo in
senso temporale. L’apertura, così
come qui la intendiamo, è la consapevolezza che noi già siamo “ora” tutto ciò
che vogliamo realizzare.
Il momento operativo, nel suo
svolgimento nel tempo, inizia con il dubbio, che ci offre la possibilità della
verifica di quanto abbiamo già compreso come reale.
La possibilità di poter verificare
nell’esperienza personale la Verità, (lavoro del dubbio), oltre che realizzare nel
movimento temporale ciò che abbiamo già riconosciuto vero in noi su un piano
ontologico, dona la “tranquillità” di poterci aprire incondizionatamente, e a
priori, al Vero.
È bene chiarire quest’ultima
affermazione.
L’atto di fede a priori, necessario e
atemporale, in quanto apertura ontologica
verso l’Essere, è richiesto ad un individuo che, inizialmente, vive nel tempo e
in uno stato presente che ancora non gli consente di essere Ciò verso cui si
apre.
Il dubbio, che è lo strumento
operativo che ci permette di verificare la conoscenza, consente, in questa
funzione, quel “lasciarsi andare” in un’apertura che, senza la possibilità di
verifica, sarebbe ostacolato dalla paura di vivere una cieca e inconsapevole
accettazione di ciò che, in apparenza, sembra così distante.
Il dubbio, l’imprescindibile verifica,
ci autorizza a donarci al Vero, a priori.
L’elemento centrale che vogliamo evidenziare
è la funzione di allentamento delle difese dell’individuo nei confronti di una
Verità percepita così lontana, anche se vicinissima a noi. L’individuo senza essere
al corrente della possibilità di verificare la Verità, chiuso nello scetticismo
di abbandonarsi all’irreale, alla creatività fanciullesca della sua fantasia,
nella paura della deriva verso l’irrazionale, perderebbe la possibilità di
aprirsi all’Eterno Essere che già da sempre siamo.
Il problema nasce dal fatto che
Quello che è più vero, ossia, l’Essere che noi stessi siamo, essendo uno stato
di piena libertà, amore e beatitudine, che apre alla coscienza le sue naturali
eterne possibilità, mostra un’idea troppo grande per sembrare vera. La mente
razionale non permette l’apertura
all’infinito Essere perché reputa tutto questo una fantasia infantile e
credulona.
In funzione dell’apertura iniziale, quindi, il dubbio sano, la possibilità di
verificare realmente l’Assoluto che è da sempre in noi, ci “tranquillizza”. È come
se stringessimo un patto con la nostra mente, un compromesso di conoscenza.
Come se dicessimo alla mente: “Cara mente, è vero che tutto questo sembra pura
fantasia, ma vedrai che potrò dimostrarti la sua realtà. Dammi del tempo e tutto
sarà confermato”.
Se riusciamo a convincere la nostra
mente, questa si zittisce, abbandona il suo giudizio, e noi, ancora immersi
nella nostra individualità, possiamo tuttavia aprirci indisturbati alla Verità,
nella profonda apertura della fede. E,
da quel momento, possiamo iniziare quel processo di realizzazione in noi che ci
porterà a essere Ciò che già da sempre siamo.
In questo processo realizzativo,
verifica dopo verifica, quella Verità affermata inizialmente solo nei concetti,
verso la quale decidiamo di aprirci anticipatamente, si avvicina sempre più. Nel
risveglio della conoscenza reale, tra noi e il Vero non c’è più alcuna
separazione.
Il percorso a cui ci rivolgiamo, col
sostegno dei preziosi strumenti della fede e del dubbio, è la suprema realizzazione
metafisica, nell’Eterna Non Dualità dell’Essere: Ciò che realmente siamo.
Arjuna
Eques a Silentio