giovedì 28 gennaio 2016

Il Codice dei Cavalieri Eidon


                                              

“Cavaliere, ascolta!”

- L’investitura che ricevi in quest’Ordine richiede coraggio, ardore e discriminazione. Perseverando nel lavoro svilupperai, silenzioso, i frutti del loro motivo.

- Nei tempi oscuri di questa generazione, l’Ordine ti potrebbe convocare per difendere la luce della consapevolezza nell’umanità; ma, ricorda! Qualsiasi azione che sarai chiamato a compiere, anche la più giusta, è pura illusione.

- Il tuo vero compito è realizzare l’Io sono. Tutto il resto è vanità.

- Per realizzare il tuo dovere, sono necessarie molte qualificazioni; ma le più importanti sono due e queste hanno la potenza di sviluppare tutte le altre in egual misura. Il tuo “cavallo” è la forza dell’ardente desiderio di liberazione, la tua “spada” la capacità di discriminare tra reale e non reale. Evoca in te queste due fondamentali qualificazioni, tutto il resto ti sarà dato.

- Il Cavaliere Eidon, in realtà, combatte la propria ignoranza e l’illusione del mondo senza alcun sostegno. Egli salta nell’abisso dell’Essere rinunciando alle forme e, nel silenzio…, riconosce la sua reale Identità. Questo richiede il più grande coraggio! Pochi sono gli uomini che manterranno “ferma” la mano sulla propria spada.

- Cavaliere! Perché continui a coltivare le conoscenze esoteriche dei fenomeni? Non hai compreso che tutto è illusione!? Taci, sii silenzioso, ferma ogni movimento nella tua Coscienza; tutto il resto è divenire, apparenza, semplice allucinazione.

- Qualsiasi “esperienza” tu possa fare nella via spirituale è divenire, evoluzione; ma “andando non si arriva mai”. Non cercare, già sei ciò che pensi di dover diventare. Fermati e sarai!

- Ogni volta che intraprendi un’azione, anche la più elevata, chiediti: “Perché lo faccio?”. Sii autentico in questa riflessione e, vedrai, la risposta sarà sempre: “Per mera gratificazione”. Se sarai chiamato ad agire fallo per la Gloria di Dio, non per te. Il distacco dai frutti dell’azione è essenziale nella Via. Se così agirai, forte nella Conoscenza e nel silenzio, diverrai l’Eterno.

- Nel sentiero che ti porta all’Essere, non respingere gli oggetti della tua brama. Cerca la causa del desiderare e, con pazienza, amorevolezza e discriminazione adoperati nel rettificare. Troverai la divina beatitudine, in totale assenza di desiderio. Comprendi, Cavaliere! Perché desiderare significa soffrire.

- Utilizza l’intero universo; ma non ti attaccare a nulla. Qualsiasi oggetto tu potrai ottenere nel mondo delle forme sarà conquistato per poi essere perduto.

- Quando ti troverai immerso nella selva dell’illusione, attaccato dai “guardiani” e preda dell’inganno, nei momenti in cui non vedrai più la Via che porta alla Verità, non temere. Resta quieto… Ti sveliamo la regola per ritrovare il sentiero: tutto ciò che è percepito, che è visto, in quanto percepito e visto, “non è”, rappresenta “il secondo”. La Realtà è totale assenza di manifestazione. E questa è la tua reale Identità.

- La Non Dualità è il livello ultimo della Conoscenza. Ma, ricorda! Senza umiltà, la Sapienza è superbia. Ciò che apprenderai in questo Ordine ti porterà alla semplice conoscenza di ciò che già sei; ma tutto ciò deve essere colto con semplicità e naturalezza.

- Per quanto, nel mondo, nella realtà relativa e impermanente osserviamo le differenze tra gli uomini, sul piano dell’Essere siamo Unità Coscienziale. Tieni, quindi, sempre a mente questa regola: “Nessuno ti è superiore e tu non sei superiore a nessuno”.

- Cavaliere! Pur riconoscendo l’affermazione “en to pan”, “tutto è uno”, l’Ordine rappresenta la gerarchia nel mondo dell’apparenza; perché riconosce l’esigenza di attenersi ai doveri del proprio stato per acquisire i mezzi preliminari necessari all’ascesi. Se intuisci questo: Taci! Obbedisci! Comprendi!

- Il Cavaliere non si contrappone a nulla. Se fosse chiamato a combattere, lo farebbe senza alcuna identificazione.

- Non cercare di convincere nessuno della tua Verità, tienila nel silenzio del tuo cuore e mostra i suoi frutti nella tua vita. Rammenta sempre la legge universale: “Chiedi e ti sarà dato”.

- Gesù affermava: “Ama il prossimo tuo (come) perché è te stesso”. Oppure: “Tutte le cose, dunque, che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle a loro”. Con le parole attribuite a Confucio, possiamo indicarti un’ulteriore conferma di questa regola, nei termini della negazione: “Ciò che non vuoi che sia fatto a te, non farlo agli altri”. E, ancora, Gesù: “Amate i vostri nemici”. Comprendi anche questo insegnamento: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Con alcune frasi emblematiche quest’Ordine ti indica la necessità di portare alla dissoluzione ogni dualità nella tua vita affinché tu possa tornare al Padre tuo, all’assoluto Essere; perché: “Tat Tvam Asi”, “Tu sei Quello”.




 “Possa a tutti arridere la vittoria sulla grande illusione”

                                                                  
                                                               Raphael

domenica 24 gennaio 2016

Alle Fonti della Vita (Domande e risposte sull'ultima Realtà)





Casa Editrice: Associazione Ecoculturale Parmenides

(già Edizioni Āśram Vidyā)


Dalla presentazione della Casa Editrice.


Il volume raccoglie una serie di domande e risposte tra Raphael e alcune persone interessate alla “ricerca” sui più profondi problemi esistenziali.

In questo “dialogo realizzativo” c’è un sottofondo dominante che si pone all’attenzione del lettore: l’origine del conflitto e la conseguente sofferenza umana.

Il conflitto-sofferenza è essenzialmente il risultato del divario tra ciò che vorrebbe avere ed essere; quando tra queste due possibilità c’è concordanza perfetta non può esserci conflitto. Ma in quale modo può verificarsi tale concordanza?

Raphael sintetizza così i presupposti per una giusta comprensione e soluzione del problema: occorre investigare se l’oggetto ha valore di “relatività” o di “assolutezza”, se la dualità soggetto-oggetto risulta irriducibile e, infine, si deve indagare la natura dello stesso desiderio, perché esso non rappresenta altro che l’effetto di un moto più profondo.

Alcune risposte di Raphael presentano dimostrazioni serrate e stringenti, incalzano l’interrogante a retrocedere nel processo pensativo, ad allontanarsi sempre più dalle “apparenze”; altre sembrano ardite, ma è bene considerare che Raphael si pone dalla prospettiva della Non-dualità (Advaita).

È da sottolineare che Raphael non offre semplicemente delle risposte, ma coinvolge lo stesso interlocutore nella ricerca e nello svelamento dell’ultima Verità, non quella parziale, anche se ciò può non andare d’accordo col sentimento o l’opinione personali.

La seconda parte del libro raccoglie una serie di aforismi sulla “Via del Fuoco” pervasi da una forza vibrante e penetrante che non si esaurisce nella bellezza dell’espressione, ma si riversa sul lettore per scuoterlo dalla sua inerzia, per risvegliarlo dallo stato di torpore in cui si trova e avviarlo a “vivere” ciò che nella prima parte può aver costituito la base per la Conoscenza.
    
In questi aforismi Raphael indica le varie fasi, i passi da compiere per seguire la “Via del Fuoco”, evidenzia le difficoltà che si incontreranno e che dovranno essere superate, mette in guardia da facili entusiasmi, dalle pericolose e potenti illusioni, da quel “gioco mentale” che porta a “rappresentarsi di essere” piuttosto che ad essere.

sabato 23 gennaio 2016

Di là dalla Fede, oltre il Dubbio






Per chi intenda affrontare un percorso spirituale diretto alla soluzione finale della sofferenza è necessario riflettere su due termini fondamentali: la fede e il dubbio.

Il primo livello di significato che è evocato da queste due parole, all’istante, ci porta verso i temi legati alla religione e a ciò che, senza sosta, hanno cavalcato gli scettici nella loro controffensiva verso di essa. In questo senso, se la fede è stata lo strumento della rivelazione religiosa, il dubbio scettico ha proposto una visione relativa e castrante, che non ha permesso alla mente di elevarsi oltre i limiti che essa stessa generava.

Questo scritto non intende contrapporsi alla religione e allo scetticismo, perché non è di nostro interesse la contrapposizione in sé, rispettando ogni espressione umana, a patto che non contribuisca alla sofferenza dell’altro. (per quanto riguarda la sofferenza autoprodotta, riportiamo l’affermazione di un grande Maestro dei nostri tempi, il quale, per evidenziare la potenza della libertà fondamentale in ognuno, afferma: “Ogni individuo ha il diritto di soffrire” - Raphael).

Qualsiasi espressione umana positiva è la giusta produzione, in un dato momento, di una particolare coscienza. Il nostro specifico interesse è, quindi, rivolto al significato dei due termini nella coerenza dei progetti di ciascuno.

Questo comporta, sempre, un raffinato lavoro alchemico sul linguaggio, che già in sé porta il seme della comprensione.

Non possiamo non partire, in questa piccola opera di svelamento consapevole del nostro linguaggio, da quello che comunemente percepiamo come significato di fede e dubbio.

La fede, nel senso della religione occidentale, come avviene ad esempio nel cattolicesimo, legata ad un’accettazione incondizionata dei dogmi ri-velati, annulla ogni possibilità di verifica dell’insegnamento e, proprio per questa necessaria osservanza, necessita di un intermediario che la presenti nella sua intoccabile e non verificabile verità. L’intermediario stesso, il sacerdote, vivendo nella “condizione umana”, è qualificato alla conduzione del rito e alla trasmissione della ri-velazione, ma, non può personalmente verificare l’attendibilità del dogma né, tantomeno, riflettere sulla possibile relatività dello stesso. Con il termine “relatività”, vogliamo sottolineare come i dogmi si mostrino spesso come l’espressione di una cultura particolare e, proprio per questo, limitati dal tempo e dallo spazio.

Pur riconoscendo la religione come un insostituibile mezzo di accesso al sacro, dobbiamo osservare che essa non sia adatta a tutte le coscienze anche se, tuttavia, è funzionale a chi non abbia le qualificazioni, in atto, per assumere in sé la Verità dell’Insegnamento.

Riportiamo, per chiarezza, due punti del significato di fede, così come espressi nel vocabolario della lingua italiana “Il Nuovo Zingarelli”, con riferimento alla tematica religiosa: “Adesione incondizionata a un fatto, a un’idea determinata da motivi non giustificabili per intero dalla ragione”, “Adesione dell’anima e della mente ad una verità rivelata o soprannaturale non sempre dimostrabile con la ragione / Complesso delle credenze che, in una religione, sono accettate come rivelate e non discutibili”.

Siamo perplessi, in realtà, su un punto: “… una verità rivelata o soprannaturale non sempre dimostrabile dalla ragione”.

Non sembra, in piena coscienza, che ci sia qualche affermazione della religione, quando fa riferimento al dogma, che sia dimostrabile con la ragione; quindi, quel “non sempre” dovrebbe essere espresso con un “mai”. A patto che non si voglia considerare una dimostrazione razionale lo storico: “credo quia absurdum”. In altre parole, credo proprio perché la rivelazione è talmente assurda che non può essere dimostrata dalla ragione umana.

In termini più accettabili potremmo dire, ora, che la rivelazione non è confinabile nei limiti logico-formali della mente, ma va compresa con le facoltà dello Spirito. Questo punto finale è proprio ciò che in ultima analisi ci interessa; ma notiamo come il livello conoscitivo della religione, nel modo in cui solitamente è trasmessa e appresa, non permetta la vera apertura della conoscenza spirituale nell’individuo. L’uomo rimane un fedele necessitante della mediazione, del pontefice o di chi da lui è autorizzato a spiegare Dio.

Occupiamoci ora del significato consueto del termine “dubbio”.

Sempre nello stesso vocabolario, esso è presentato così: “Sospensione definitiva del giudizio dettata dalla convinzione di non poter mai giungere a una certezza”.

È chiaro che, mantenendo questi significati particolari di fede e dubbio (scettico), non sarà possibile affrontare una ricerca spirituale che porti il ricercatore alla soluzione definitiva della sofferenza e dello stato di necessità in cui si trova.

La presente riflessione è rivolta a chi si ponga, come noi, nella prospettiva del risveglio alla nostra natura Non Duale. E, per Non Duale, si intende la Coscienza unica ed eterna dell’Assoluto Essere, che è riconosciuta, nell’insegnamento metafisico, come la nostra reale identità. Tuttavia, queste riflessioni sui due termini di fede e dubbio sono utili per qualsiasi livello della ricerca iniziatica. Da tale meditazione, la fede e il dubbio si affermeranno come due strumenti operativi fondamentali nel cammino della consapevolezza.

La soluzione della dicotomia tra fede e dubbio sta nel comprendere questi due termini in un significato che li avvicina, fino quasi a farli coincidere.

Ciò può avvenire, assegnando ad essi questi significati trasmutati:

Fede = Fiducia verso un Insegnamento che afferma una (la) Verità, le conoscenze e i processi realizzativi, che potenzialmente sono verificabili da tutti in ogni momento e in ogni luogo.

Dubbio = impossibilità di accettare una verità ri-velata (velata di nuovo) che non presenti la prassi operativa per essere verificata e realizzata, nel momento presente, da ciascuno in sé.

In questo significato, il dubbio non è più il “dubbio scettico”, ma coincide col “dubbio metodico” di sospensione del giudizio che apre porte più espanse di comprensione. Il dubbio metodico ci porta verso la sperimentazione/comprensione di ciò che non è familiare, noto, già compreso. E questa è la condizione necessaria per avanzare nella conoscenza, oltre i limiti delle nostre convinzioni.

Possiamo rintracciare questo significato di dubbio anche nel senso iniziatico, molto poco compreso dai fratelli stessi, cui si riferisce la massoneria.  I liberi muratori, uno dei termini per definire il massone, si aggettivano anche “uomini del dubbio”. Essi affrontano la ricerca del “nosce te ipsum”, il “conosci te stesso” socratico, in assenza dei dogmi e in piena libertà di ricerca, per mezzo della “Scienza Sacra”. Questa è l’Insegnamento universale espresso dalle tradizioni in molti linguaggi, che porta, attraverso la personale verifica, a Comprendere/Essere.

Per quale motivo è necessario conoscere il significato profondo, iniziatico, di fede e dubbio?

Molte volte abbiamo incontrato compagni di ricerca spirituale, devoti della consapevolezza, che diventano insofferenti, fino a rinunciare in alcuni casi al percorso stesso, quando s’iniziano ad affrontare i livelli coscienziali che vanno oltre il corpo e la mente. Essi, pur necessitati a cercare risposte, si considerano liberi dai dogmi, ma si scoprono, in seguito, irretiti nello scetticismo che li schiaccia in una forma castrante di materialismo/ateismo “spirituale” senza possibilità. In realtà, non ci sarebbe alcun problema in merito. Il solo limite è di non poter andare oltre la coscienza del corpo, dell’energia che lo sostiene, e dei processi della mente individuale. Questo livello di ottenimento fisico, pranico e psichico, da un lato, non è affatto un mediocre risultato, dall’altro, è solo il massimo che un “io” può realizzare.

È evidente che anche questo grado di comprensione sarebbe per i più un sogno lontano; ma tutto questo, per quanto ci metta nella possibilità di essere un uomo lucido, individuato e cosciente del sé psichico, non ci libera dalla sofferenza. Perché la soluzione della sofferenza sta oltre la coscienza individuale. Perché alla domanda: “In realtà, chi è che soffre?”, dobbiamo rispondere "l’individuo". La vera libertà va ricercata, verificata e, quindi, realizzata oltre lo stato coscienziale dell’individualità, verso una coscienza più raffinata e aperta, senza confini. E questo è il mondo dello spirito.

Il ricercatore, con perseveranza, sotto la guida di un maestro (Chi ha realizzato in sé la Suprema Conoscenza dell’Essere), deve sviluppare la silenziosa presenza consapevole nei vari gradi esistenziali (della coscienza) presenti in ognuno di noi. Questo comporta affrontare personalmente in sé tutti i veicoli manifesti e i loro attributi. E tutto ciò comporta la non preclusione agli stessi, che si presentano come momenti spirituali dell’esistenza.

Così accade che molti sedicenti iniziati, in preda allo dubbio stagnante, scambino la via iniziatica, con evidente atteggiamento illogico, per una forma atea (senza possibilità). Il loro scetticismo gli preclude qualsiasi possibilità di andare oltre il corpo e l’io psicologico. Essi vorrebbero realizzare la liberazione dalle forme, progettando la soluzione dell’intera realtà esistenziale (nella sua totalità), ma accettano come reale solo la coscienza mentale. Escludono la possibilità che ci sia una realtà non fisica e la presenza indefinita di stati e luoghi in essa, che siamo soliti chiamare “soprannaturale”.
Sarebbe come dire “Voglio andare in America senza una carta geografica”, o magari, “Posso andarci, ma tra il luogo in cui mi trovo e l’America non c’è né il mare né il cielo, e, in realtà, non penso che la loro presenza sia necessaria”, ecc. In questo senso i massoni, tra le varie qualifiche, richiedono ai “bussanti” la dichiarazione di credere nell’Essere Supremo, di là dalle sue possibili rappresentazioni. Come sarebbe possibile, in effetti, realizzare il Divino che è in noi senza credere che Questo esista?

Detto ciò, ci chiediamo: come possiamo affrontare un percorso che ci porti al superamento della sofferenza, oltre l’individualità limitante e i rimanenti stati esistenziali che possediamo nella nostra coscienza?

Com’è possibile comprendere l’Assoluto che noi stessi siamo o, comunque, affrontare la pur minima parziale realizzazione, senza avere una grande fede?

Ritorniamo, quindi, al significato di fede e dubbio, ma espressi nel loro valore iniziatico.

A questo scopo è interessante citare alcuni brevi passi del libro di Sharon Salzberg: “Fede”, (Ubaldini Editore, Roma 2003. Le citazioni sono prese dal capitolo “Verificare la fede”, pagg. 54/55), perché essi esprimono, in estrema sintesi, la raffinata dialettica tra fede e dubbio, così come qui la intendiamo. In assenza di quest’accordo operativo tra di essi diventa impossibile procedere nel processo iniziatico realizzativo.

Se la fede viene separata dalla ricerca razionale si riduce a una pratica per creduloni”.

Nel buddhismo, la distinzione tra fede e credenza risiede nel mettere alla prova ciò che viene detto. ‘Mettilo in pratica’, ha detto il Buddha, ‘e se scopri che conduce a un tipo di saggezza che è come guardare un muro e poi il muro crolla e vedi in maniera sconfinata, allora puoi fidarti’. Indipendentemente da cosa mi dicevano i maestri, rimaneva una credenza fino a che non lo sperimentavo”.

Per poter approfondire la fede, dobbiamo essere capaci di mettere alla prova le cose, di chiedere, di dubitare. La fede viene infatti rafforzata dal dubbio, quando il dubbio è un’indagine critica e sincera combinata con una profonda fiducia nel nostro stesso diritto e nella nostra capacità di discernere la verità. Nel buddhismo questo tipo di indagine è conosciuta come ‘dubbio salutare’. Perché il dubbio sia salutare dobbiamo essere sufficientemente vicini al problema in discussione da esserne interessati, e tuttavia abbastanza aperti da lasciare che il dubbio si manifesti. Diversamente dal dubbio salutare, che ci porta più vicino a esplorare la verità, il dubbio non salutare ce ne allontana”.

In questi passaggi di Sharon Salzberg, ci sono tutti i soggetti di questa nostra riflessione. C’è la “fede religiosa” che non prevede la messa in discussione dei suoi dogmi, non accettando un percorso di realizzazione effettiva e personale. C’è il “dubbio scettico” (non salutare) che non ci permette alcun avvicinamento alla conoscenza superiore. Ci sono la “fede” e il “dubbio salutare” che insieme concorrono alla realizzazione della verità svelata e presente in noi stessi, attraverso l’apertura verso la possibilità che ci sia una Verità e che sia sempre presente in noi stessi come nostra vera Identità.

Possiamo quindi considerare la fede come l’apertura di un orizzonte di senso che si offre alla Verità nella sua assolutezza.

Dobbiamo osservare però come questa apertura verso il Vero, per essere funzionale e operativa, debba, inizialmente, essere “incondizionata” e “indubitabile”. Nel senso del nostro percorso di risveglio all’Assoluto, l’apertura è uno stato ontologico di svelamento della nostra possibilità di Essere la Verità stessa. È una condizione necessaria per poter compiere qualsiasi cammino. Non può essere considerato un momento operativo in senso temporale. L’apertura, così come qui la intendiamo, è la consapevolezza che noi già siamo “ora” tutto ciò che vogliamo realizzare.

Il momento operativo, nel suo svolgimento nel tempo, inizia con il dubbio, che ci offre la possibilità della verifica di quanto abbiamo già compreso come reale.

La possibilità di poter verificare nell’esperienza personale la Verità, (lavoro del dubbio), oltre che realizzare nel movimento temporale ciò che abbiamo già riconosciuto vero in noi su un piano ontologico, dona la “tranquillità” di poterci aprire incondizionatamente, e a priori, al Vero.

È bene chiarire quest’ultima affermazione.

L’atto di fede a priori, necessario e atemporale, in quanto apertura ontologica verso l’Essere, è richiesto ad un individuo che, inizialmente, vive nel tempo e in uno stato presente che ancora non gli consente di essere Ciò verso cui si apre.

Il dubbio, che è lo strumento operativo che ci permette di verificare la conoscenza, consente, in questa funzione, quel “lasciarsi andare” in un’apertura che, senza la possibilità di verifica, sarebbe ostacolato dalla paura di vivere una cieca e inconsapevole accettazione di ciò che, in apparenza, sembra così distante.

Il dubbio, l’imprescindibile verifica, ci autorizza a donarci al Vero, a priori.

L’elemento centrale che vogliamo evidenziare è la funzione di allentamento delle difese dell’individuo nei confronti di una Verità percepita così lontana, anche se vicinissima a noi. L’individuo senza essere al corrente della possibilità di verificare la Verità, chiuso nello scetticismo di abbandonarsi all’irreale, alla creatività fanciullesca della sua fantasia, nella paura della deriva verso l’irrazionale, perderebbe la possibilità di aprirsi all’Eterno Essere che già da sempre siamo.

Il problema nasce dal fatto che Quello che è più vero, ossia, l’Essere che noi stessi siamo, essendo uno stato di piena libertà, amore e beatitudine, che apre alla coscienza le sue naturali eterne possibilità, mostra un’idea troppo grande per sembrare vera. La mente razionale non permette l’apertura all’infinito Essere perché reputa tutto questo una fantasia infantile e credulona.

In funzione dell’apertura iniziale, quindi, il dubbio sano, la possibilità di verificare realmente l’Assoluto che è da sempre in noi, ci “tranquillizza”. È come se stringessimo un patto con la nostra mente, un compromesso di conoscenza. Come se dicessimo alla mente: “Cara mente, è vero che tutto questo sembra pura fantasia, ma vedrai che potrò dimostrarti la sua realtà. Dammi del tempo e tutto sarà confermato”.

Se riusciamo a convincere la nostra mente, questa si zittisce, abbandona il suo giudizio, e noi, ancora immersi nella nostra individualità, possiamo tuttavia aprirci indisturbati alla Verità, nella profonda apertura della fede. E, da quel momento, possiamo iniziare quel processo di realizzazione in noi che ci porterà a essere Ciò che già da sempre siamo.

In questo processo realizzativo, verifica dopo verifica, quella Verità affermata inizialmente solo nei concetti, verso la quale decidiamo di aprirci anticipatamente, si avvicina sempre più. Nel risveglio della conoscenza reale, tra noi e il Vero non c’è più alcuna separazione.
Il percorso a cui ci rivolgiamo, col sostegno dei preziosi strumenti della fede e del dubbio, è la suprema realizzazione metafisica, nell’Eterna Non Dualità dell’Essere: Ciò che realmente siamo.


Arjuna 
Eques a Silentio

lunedì 11 gennaio 2016

Le scelte formali della struttura dell'Ordine e la Non Dualità: l'azione della Cavalleria e la contemplazione metafisica





Dall'Articolo "Sugli Scopi dell'Ordine dei Cavalieri Eidon e il suo Insegnamento",
già pubblicato intero in questo blog.


Intendiamo ora chiarire per quale motivo quest’Ordine abbia scelto l’Investitura Cavalleresca per portare un seme della Conoscenza non duale, la quale sta oltre qualsiasi forma o ritualità.

La causa di questa scelta è comprensibile se risaliamo agli scopi dell’Ordine.

A chiarimento di questo passaggio, è citata una parte della “Prima Ordinanza” del Sovrano Gran Maestro dell’Ordine, letta la notte della fondazione.

In essa si risponde anche a chi, inizialmente, ha giudicato questo progetto iniziatico proprio come un sincretismo inopportuno e inutile, dal quale l’Ordine stesso si distanzia con forza, eleggendosi a custode della correttezza della grammatica operativa dell’Insegnamento. Questa critica è espressa su due proposizioni.

La prima riguarda l’aver unito l’Investitura Cavalleresca cristiana al significato della cavalleria nella tradizione vedica, che fa riferimento alla figura dello Ksatriya.

La seconda contesta l’utilizzo di un sistema rituale e formale per presentare qualcosa di informale come la metafisica.

Da molti anni portiamo un seme della Conoscenza Advaita, ed essa, a buon diritto, è stata sempre presentata per la sua reale natura. L’Advaita è l’ultimo dei sei livelli della filosofia indiana legata ai Veda e alle Upanishad. Essa è la Via diretta del Fuoco e porta all’Essere senza alcun filtro, scavalcando ogni possibile forma o tecnica iniziatica; utilizza esclusivamente la Conoscenza, la Verità, e porta da subito alla necessità del silenzio come stato ottenibile solo con la comprensione.

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon non è stato, però, fondato per testimoniare la Divina Conoscenza non Duale dell’Essere; ma, piccola-enorme sfumatura, è nato dall’istanza di portare la stessa all’interno di una Tradizione, quella occidentale, che attualmente non conosce possibilità iniziatica che superi il confine del simbolo, del rito, delle tecniche e, diciamolo senza remore, non ha attualmente la minima idea di cosa sia l’Essere se non, nel migliore dei casi, per quello che si può apprendere su un piano strettamente culturale o concettuale.

Cosa fare quindi per rendere efficace il nostro intervento?

Per sconfiggere il nemico è necessario imparare a mangiare come lui…
Oppure, prima di convincere qualcuno a superare le proprie convinzioni dobbiamo dargli ragione… Così come è impossibile insegnare il silenzio comandando “Non pensare!”

Potremmo proseguire con queste immagini metaforiche all’indefinito; ma, ormai sembra chiaro, l’aprire la possibilità della Conoscenza in un contesto strutturato e immerso in convinzioni particolare, richiede astuzia iniziatica non alla portata di tutti.

È necessario quindi giocare con una grammatica già esistente e tenacemente persistente, che ha la sua oggettiva efficacia fino ad un certo livello; ma, semplicemente, non è più adatta ai nostri obiettivi.

Nobili Cavalieri, abbiamo creato una struttura formale, rituale, a volte anche complicata, da migliorare e raffinare nel tempo. Ma, all’interno di essa c’è un virus potentissimo che è capace di sciogliere qualsiasi ostacolo che l’ignoranza pone sulla sua strada; e questo virus si chiama Conoscenza.

Abbiamo scelto di utilizzare il rigore e lo status iniziatico del Cavaliere, creando un ponte di senso tra la Cavalleria occidentale Cristiana e lo Ksatrya indiano. Comprendendo la particolare iniziazione legata alla cavalleria, che è l’azione. Ma lo abbiamo fatto per portare nella nostra coscienza quella comprensione dell’azione-non-azione, l’azione immobile, senza attaccamento o scopo, passaggio indispensabile alla comprensione dell’Essere metafisico.

Tutto ciò non con l’errata intenzione di degradare ad un gradino precedente la Conoscenza metafisica, ma perché l’azione e il rito sono ciò che nell’esoterismo occidentale c’è ed è presente, oltretutto, su un livello essoterico e degradato. Il processo che ricerchiamo è sacralizzare quindi ciò che ora è presente nel luogo della nostra semina per aprire spazi di profonda trasformazione dove non rimarrà più forma e movimento”.


                                                  Arjuna
                                           Eques a Silentio








venerdì 8 gennaio 2016


L’Insegnamento nell'Ordine e il Vedanta Advaita





Immagine dal Blog "Advaita Vedanta" di Paolo Proietti



Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon agisce nell’insegnamento attraverso la Catena Iniziatica ininterrotta dei Maestri del Vedanta Advaita, in quanto questa Tradizione è a tutt’oggi una meravigliosa Conoscenza attiva e realizzativa.

Ci sono stati nella storia molti insegnamenti metafisici, alcuni sono presenti ancora oggi, come lo è appunto l’Advaita.

Da una citazione di un testo di Raphael, Maestro Advaita dei nostri tempi, possiamo cogliere una sintesi dell’impostazione Metafisica e di alcune tradizioni che l’hanno tramandata nei millenni. Il testo è “La Triplice Via del Fuoco”, Ed. Āśram Vidyā, ora, "Associazione Ecoculturale Parmenides".

La metafisica va di là da tutte le scienze profane e anche sacre, quindi non è cosmologia, né ontologia che fa riferimento all’Uno principiale. Il sentiero metafisico, in riferimento alla Qabbālāh, è quello dell’Ain Soph, all’Alchimia è quello che risolve lo stesso Zolfo, al Vedānta è quello del Nirguṇa o Turīya. Per Platone-Plotino è la realizzazione dell’Uno-Bene, che trascende lo stesso Essere o Uno Molti”.

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon, per mostrarsi, ha utilizzato un nome greco, Εĩδον, tempo aoristo del verbo greco Οράω (vedere), per il quale è stato presentato un articolo dedicato in questo blog, dal titolo: “Εĩδον – vedere, conoscere, sapere”. 

Questo termine, consigliato da Raphael per la nostra intenzione, descrive, nei termini occidentali, quello stato di realizzazione non duale che, di per sé, non può essere limitato ad un contesto tradizionale particolare. 

La scelta di tale nome vuole quindi testimoniare l’Unità sottostante a tutti i rami della tradizione metafisica. La quale ha mostrato “… quella Realtà assoluta che costituisce il fondamento del divenire e che è prospettata dagli insegnamenti tradizionali dell’Occidente e dell’Oriente: l’Uno-Uno o Uno-Bene di Platone, l’Uno di Plotino, l’Uno-senza-secondo di Śaṅkara”. (Dalla seconda di copertina del libro “Fuoco di Risveglio – unità nel cambiamento”, Raphael, Ed. Āśram Vidyā).

L’unità della tradizione metafisica nella sua universalità è, quindi, il nostro bagaglio iniziatico essenziale. Tuttavia, come già evidenziato, l’Ordine studia e pratica l’operatività particolare del Vedanta Advaita.

Se un percorso iniziatico è realmente operativo, pur riconoscendo l’universalità della Conoscenza non duale nelle sue molteplici forme, deve prospettare  la pratica di un solo insegnamento, perché ogni "ramo" della tradizione ha una sua particolare modalità operativa, che non può essere elusa dall’ingenuità o dalla dannosità di qualsivoglia forma di sincretismo iniziatico.


Arjuna
Eques a Silentio



mercoledì 6 gennaio 2016

La Consacrazione dell'Ordine

Dall'Articolo pubblicato nel mese di dicembre 2015: 
"Sugli Scopi dell'Ordine dei Cavalieri Eidon e il suo Insegnamento".

Il Sovrano Ordine dei Cavalieri Eidon rispetta ogni tradizione filosofica e qualsiasi religione, purché lavorino alla Gloria di Dio, per l'amicizia tra tutti gli esseri umani.

L’Ordine, come recita la parte iniziale della sua “Regola”, si consacra a Gesù Cristo e alla sua Santissima Madre, perché riconosce la loro responsabilità verso l’umanità. Elegge invece come suo protettore San Michele Arcangelo, giacché conosce la sua realtà oggettiva e il ruolo tangibile che ha nella Manifestazione Universale.

Nascono, ora, ulteriori domande.

Come può l’Ordine avere cognizione di quale sia la realtà del Cristo, della Madonna e dell’Arcangelo Michele? E, inoltre, come entrano Essi in un contesto che si rivolge alla non dualità, che per sua natura interna non è orientata verso ciò che è manifesto e duale, piano in cui si rappresenta anche un Principio divino nella sua espressione formale?

La Conoscenza non duale, è vero, si rivolge alla realizzazione dell’Essere che sta oltre la Manifestazione, è il telo bianco su cui si proietta la creazione, come un dipinto su una telabianca.

Il processo di disidentificazione dell’Assoluto in noi dalle forme, però, non può prescindere dal vivere nell’armonia con l’intera Manifestazione Universale.

L’uscita dal sogno esistenziale in cui ci troviamo, pur essendo noi stessi l’Assoluto Essere, comporta una vita in accordo con il creato, che in termini tradizionali, chiamiamo, appunto, “Manifestazione Universale”.

Se è vero, quindi, che dal punto di vista dell’Assoluto, ogni dualità, compreso il bene e il male, si scioglie in un Tutto Uno, è anche vero che sul piano della realtà relativa spazio-temporale la dualità esiste e mostra continuamente i suoi effetti.

Lo svelamento della Verità in noi, non può eludere l’armonizzazione di tali valori polari. Prima di poter giungere all’Identità coscienziale con tutti gli esseri, dobbiamo riconoscerci nell’intera Coscienza Universale. Questa è la grande iniziazione all’Universalità descritta così bene dall’esperienza dei Santi. 

Ricordiamo fratello Sole e sorella luna, così come fratello lupo, e fratelli e sorelle tutti gli esseri? Questo è l’Amore Universale, e la realizzazione dello stesso è una condizione “sine qua non” per poter svelare l’Assoluto Essere che siamo realmente.

Gesù insegnava: “Non si può arrivare al Padre se non tramite Me”.

Gesù, che in Sé è anche il Padre, ci dice che non si può arrivare all’Assoluto Padre se non tramite la realizzazione universale con tutti gli esseri, che la sua Cristicità ha mostrato nella storia umana.

Dobbiamo considerare, quindi, la dimensione duale con cui ci troviamo ora identificati, immersa nella dialettica tra bene e male. Tutto questo rinunciando all’etica umana, che è sempre frutto relativo di una forma-pensiero, e affermando in noi quell’etica originaria fondata sulla reale nostra essenza. Il fulcro della stessa è la consapevolezza. E, operando la necessaria rettificazione in noi, scopriamo che la consapevolezza, la presenza a noi stessi, diminuisce ciò che è male e aumenta tutto quello che è bene. Essa è la chiave dell’Amore Universale, e il vero Amore è sempre l’amore per tutti gli esseri.

Molte tradizioni hanno lavorato alla Gloria di Dio, e hanno messo in pratica quello che ha insegnato Gesù senza conoscerlo. Lo hanno fatto ascoltando altri saggi uomini o altri emissari del Padre.

Questo Sovrano Ordine conosce la grande responsabilità del Cristo e della Madonna in quest’opera di emancipazione dell’intera Coscienza Planetaria, e non può prescindere da questa comprensione. Certo, lo Spirito Santo, la Coscienza Divina in manifestazione, nella sua Unità Trinitaria, è presente in molti luoghi e in varie tradizioni. C’è un fulcro, però, di tale potenza Spirituale dell’Essere che è fissato nel Cristo, il Quale ha il compito di portare questa umanità alla Casa del Padre.

L’Ordine, si pone in tale responsabilità e si consacra quindi nella stessa.

Alla domanda che abbiamo posto, circa la certezza che l’Ordine ha della realtà del Cristo e della sua continua Opera fra tutti noi, possiamo qui far riferimento alla possibilità di fare esperienza del piano spirituale manifesto con più canali conoscitivi, dal fisico percettivo a quello animico del cuore, fino al silenzio spirituale di “comunione”. Non riteniamo opportuno, in questa sede, dare però prova o informazione di queste possibilità di verifica, e lasciamo alla ricerca personale di ognuno l’esperienza della veridicità di tali affermazioni, non essendo questo lo scopo del nostro lavoro.

Esposto in sintesi il motivo della consacrazione dell’Ordine, è necessario chiedersi come esso intenda consegnare la conoscenza Non Duale.


Arjuna
Eques a Silentio