sabato 23 gennaio 2016

Di là dalla Fede, oltre il Dubbio






Per chi intenda affrontare un percorso spirituale diretto alla soluzione finale della sofferenza è necessario riflettere su due termini fondamentali: la fede e il dubbio.

Il primo livello di significato che è evocato da queste due parole, all’istante, ci porta verso i temi legati alla religione e a ciò che, senza sosta, hanno cavalcato gli scettici nella loro controffensiva verso di essa. In questo senso, se la fede è stata lo strumento della rivelazione religiosa, il dubbio scettico ha proposto una visione relativa e castrante, che non ha permesso alla mente di elevarsi oltre i limiti che essa stessa generava.

Questo scritto non intende contrapporsi alla religione e allo scetticismo, perché non è di nostro interesse la contrapposizione in sé, rispettando ogni espressione umana, a patto che non contribuisca alla sofferenza dell’altro. (per quanto riguarda la sofferenza autoprodotta, riportiamo l’affermazione di un grande Maestro dei nostri tempi, il quale, per evidenziare la potenza della libertà fondamentale in ognuno, afferma: “Ogni individuo ha il diritto di soffrire” - Raphael).

Qualsiasi espressione umana positiva è la giusta produzione, in un dato momento, di una particolare coscienza. Il nostro specifico interesse è, quindi, rivolto al significato dei due termini nella coerenza dei progetti di ciascuno.

Questo comporta, sempre, un raffinato lavoro alchemico sul linguaggio, che già in sé porta il seme della comprensione.

Non possiamo non partire, in questa piccola opera di svelamento consapevole del nostro linguaggio, da quello che comunemente percepiamo come significato di fede e dubbio.

La fede, nel senso della religione occidentale, come avviene ad esempio nel cattolicesimo, legata ad un’accettazione incondizionata dei dogmi ri-velati, annulla ogni possibilità di verifica dell’insegnamento e, proprio per questa necessaria osservanza, necessita di un intermediario che la presenti nella sua intoccabile e non verificabile verità. L’intermediario stesso, il sacerdote, vivendo nella “condizione umana”, è qualificato alla conduzione del rito e alla trasmissione della ri-velazione, ma, non può personalmente verificare l’attendibilità del dogma né, tantomeno, riflettere sulla possibile relatività dello stesso. Con il termine “relatività”, vogliamo sottolineare come i dogmi si mostrino spesso come l’espressione di una cultura particolare e, proprio per questo, limitati dal tempo e dallo spazio.

Pur riconoscendo la religione come un insostituibile mezzo di accesso al sacro, dobbiamo osservare che essa non sia adatta a tutte le coscienze anche se, tuttavia, è funzionale a chi non abbia le qualificazioni, in atto, per assumere in sé la Verità dell’Insegnamento.

Riportiamo, per chiarezza, due punti del significato di fede, così come espressi nel vocabolario della lingua italiana “Il Nuovo Zingarelli”, con riferimento alla tematica religiosa: “Adesione incondizionata a un fatto, a un’idea determinata da motivi non giustificabili per intero dalla ragione”, “Adesione dell’anima e della mente ad una verità rivelata o soprannaturale non sempre dimostrabile con la ragione / Complesso delle credenze che, in una religione, sono accettate come rivelate e non discutibili”.

Siamo perplessi, in realtà, su un punto: “… una verità rivelata o soprannaturale non sempre dimostrabile dalla ragione”.

Non sembra, in piena coscienza, che ci sia qualche affermazione della religione, quando fa riferimento al dogma, che sia dimostrabile con la ragione; quindi, quel “non sempre” dovrebbe essere espresso con un “mai”. A patto che non si voglia considerare una dimostrazione razionale lo storico: “credo quia absurdum”. In altre parole, credo proprio perché la rivelazione è talmente assurda che non può essere dimostrata dalla ragione umana.

In termini più accettabili potremmo dire, ora, che la rivelazione non è confinabile nei limiti logico-formali della mente, ma va compresa con le facoltà dello Spirito. Questo punto finale è proprio ciò che in ultima analisi ci interessa; ma notiamo come il livello conoscitivo della religione, nel modo in cui solitamente è trasmessa e appresa, non permetta la vera apertura della conoscenza spirituale nell’individuo. L’uomo rimane un fedele necessitante della mediazione, del pontefice o di chi da lui è autorizzato a spiegare Dio.

Occupiamoci ora del significato consueto del termine “dubbio”.

Sempre nello stesso vocabolario, esso è presentato così: “Sospensione definitiva del giudizio dettata dalla convinzione di non poter mai giungere a una certezza”.

È chiaro che, mantenendo questi significati particolari di fede e dubbio (scettico), non sarà possibile affrontare una ricerca spirituale che porti il ricercatore alla soluzione definitiva della sofferenza e dello stato di necessità in cui si trova.

La presente riflessione è rivolta a chi si ponga, come noi, nella prospettiva del risveglio alla nostra natura Non Duale. E, per Non Duale, si intende la Coscienza unica ed eterna dell’Assoluto Essere, che è riconosciuta, nell’insegnamento metafisico, come la nostra reale identità. Tuttavia, queste riflessioni sui due termini di fede e dubbio sono utili per qualsiasi livello della ricerca iniziatica. Da tale meditazione, la fede e il dubbio si affermeranno come due strumenti operativi fondamentali nel cammino della consapevolezza.

La soluzione della dicotomia tra fede e dubbio sta nel comprendere questi due termini in un significato che li avvicina, fino quasi a farli coincidere.

Ciò può avvenire, assegnando ad essi questi significati trasmutati:

Fede = Fiducia verso un Insegnamento che afferma una (la) Verità, le conoscenze e i processi realizzativi, che potenzialmente sono verificabili da tutti in ogni momento e in ogni luogo.

Dubbio = impossibilità di accettare una verità ri-velata (velata di nuovo) che non presenti la prassi operativa per essere verificata e realizzata, nel momento presente, da ciascuno in sé.

In questo significato, il dubbio non è più il “dubbio scettico”, ma coincide col “dubbio metodico” di sospensione del giudizio che apre porte più espanse di comprensione. Il dubbio metodico ci porta verso la sperimentazione/comprensione di ciò che non è familiare, noto, già compreso. E questa è la condizione necessaria per avanzare nella conoscenza, oltre i limiti delle nostre convinzioni.

Possiamo rintracciare questo significato di dubbio anche nel senso iniziatico, molto poco compreso dai fratelli stessi, cui si riferisce la massoneria.  I liberi muratori, uno dei termini per definire il massone, si aggettivano anche “uomini del dubbio”. Essi affrontano la ricerca del “nosce te ipsum”, il “conosci te stesso” socratico, in assenza dei dogmi e in piena libertà di ricerca, per mezzo della “Scienza Sacra”. Questa è l’Insegnamento universale espresso dalle tradizioni in molti linguaggi, che porta, attraverso la personale verifica, a Comprendere/Essere.

Per quale motivo è necessario conoscere il significato profondo, iniziatico, di fede e dubbio?

Molte volte abbiamo incontrato compagni di ricerca spirituale, devoti della consapevolezza, che diventano insofferenti, fino a rinunciare in alcuni casi al percorso stesso, quando s’iniziano ad affrontare i livelli coscienziali che vanno oltre il corpo e la mente. Essi, pur necessitati a cercare risposte, si considerano liberi dai dogmi, ma si scoprono, in seguito, irretiti nello scetticismo che li schiaccia in una forma castrante di materialismo/ateismo “spirituale” senza possibilità. In realtà, non ci sarebbe alcun problema in merito. Il solo limite è di non poter andare oltre la coscienza del corpo, dell’energia che lo sostiene, e dei processi della mente individuale. Questo livello di ottenimento fisico, pranico e psichico, da un lato, non è affatto un mediocre risultato, dall’altro, è solo il massimo che un “io” può realizzare.

È evidente che anche questo grado di comprensione sarebbe per i più un sogno lontano; ma tutto questo, per quanto ci metta nella possibilità di essere un uomo lucido, individuato e cosciente del sé psichico, non ci libera dalla sofferenza. Perché la soluzione della sofferenza sta oltre la coscienza individuale. Perché alla domanda: “In realtà, chi è che soffre?”, dobbiamo rispondere "l’individuo". La vera libertà va ricercata, verificata e, quindi, realizzata oltre lo stato coscienziale dell’individualità, verso una coscienza più raffinata e aperta, senza confini. E questo è il mondo dello spirito.

Il ricercatore, con perseveranza, sotto la guida di un maestro (Chi ha realizzato in sé la Suprema Conoscenza dell’Essere), deve sviluppare la silenziosa presenza consapevole nei vari gradi esistenziali (della coscienza) presenti in ognuno di noi. Questo comporta affrontare personalmente in sé tutti i veicoli manifesti e i loro attributi. E tutto ciò comporta la non preclusione agli stessi, che si presentano come momenti spirituali dell’esistenza.

Così accade che molti sedicenti iniziati, in preda allo dubbio stagnante, scambino la via iniziatica, con evidente atteggiamento illogico, per una forma atea (senza possibilità). Il loro scetticismo gli preclude qualsiasi possibilità di andare oltre il corpo e l’io psicologico. Essi vorrebbero realizzare la liberazione dalle forme, progettando la soluzione dell’intera realtà esistenziale (nella sua totalità), ma accettano come reale solo la coscienza mentale. Escludono la possibilità che ci sia una realtà non fisica e la presenza indefinita di stati e luoghi in essa, che siamo soliti chiamare “soprannaturale”.
Sarebbe come dire “Voglio andare in America senza una carta geografica”, o magari, “Posso andarci, ma tra il luogo in cui mi trovo e l’America non c’è né il mare né il cielo, e, in realtà, non penso che la loro presenza sia necessaria”, ecc. In questo senso i massoni, tra le varie qualifiche, richiedono ai “bussanti” la dichiarazione di credere nell’Essere Supremo, di là dalle sue possibili rappresentazioni. Come sarebbe possibile, in effetti, realizzare il Divino che è in noi senza credere che Questo esista?

Detto ciò, ci chiediamo: come possiamo affrontare un percorso che ci porti al superamento della sofferenza, oltre l’individualità limitante e i rimanenti stati esistenziali che possediamo nella nostra coscienza?

Com’è possibile comprendere l’Assoluto che noi stessi siamo o, comunque, affrontare la pur minima parziale realizzazione, senza avere una grande fede?

Ritorniamo, quindi, al significato di fede e dubbio, ma espressi nel loro valore iniziatico.

A questo scopo è interessante citare alcuni brevi passi del libro di Sharon Salzberg: “Fede”, (Ubaldini Editore, Roma 2003. Le citazioni sono prese dal capitolo “Verificare la fede”, pagg. 54/55), perché essi esprimono, in estrema sintesi, la raffinata dialettica tra fede e dubbio, così come qui la intendiamo. In assenza di quest’accordo operativo tra di essi diventa impossibile procedere nel processo iniziatico realizzativo.

Se la fede viene separata dalla ricerca razionale si riduce a una pratica per creduloni”.

Nel buddhismo, la distinzione tra fede e credenza risiede nel mettere alla prova ciò che viene detto. ‘Mettilo in pratica’, ha detto il Buddha, ‘e se scopri che conduce a un tipo di saggezza che è come guardare un muro e poi il muro crolla e vedi in maniera sconfinata, allora puoi fidarti’. Indipendentemente da cosa mi dicevano i maestri, rimaneva una credenza fino a che non lo sperimentavo”.

Per poter approfondire la fede, dobbiamo essere capaci di mettere alla prova le cose, di chiedere, di dubitare. La fede viene infatti rafforzata dal dubbio, quando il dubbio è un’indagine critica e sincera combinata con una profonda fiducia nel nostro stesso diritto e nella nostra capacità di discernere la verità. Nel buddhismo questo tipo di indagine è conosciuta come ‘dubbio salutare’. Perché il dubbio sia salutare dobbiamo essere sufficientemente vicini al problema in discussione da esserne interessati, e tuttavia abbastanza aperti da lasciare che il dubbio si manifesti. Diversamente dal dubbio salutare, che ci porta più vicino a esplorare la verità, il dubbio non salutare ce ne allontana”.

In questi passaggi di Sharon Salzberg, ci sono tutti i soggetti di questa nostra riflessione. C’è la “fede religiosa” che non prevede la messa in discussione dei suoi dogmi, non accettando un percorso di realizzazione effettiva e personale. C’è il “dubbio scettico” (non salutare) che non ci permette alcun avvicinamento alla conoscenza superiore. Ci sono la “fede” e il “dubbio salutare” che insieme concorrono alla realizzazione della verità svelata e presente in noi stessi, attraverso l’apertura verso la possibilità che ci sia una Verità e che sia sempre presente in noi stessi come nostra vera Identità.

Possiamo quindi considerare la fede come l’apertura di un orizzonte di senso che si offre alla Verità nella sua assolutezza.

Dobbiamo osservare però come questa apertura verso il Vero, per essere funzionale e operativa, debba, inizialmente, essere “incondizionata” e “indubitabile”. Nel senso del nostro percorso di risveglio all’Assoluto, l’apertura è uno stato ontologico di svelamento della nostra possibilità di Essere la Verità stessa. È una condizione necessaria per poter compiere qualsiasi cammino. Non può essere considerato un momento operativo in senso temporale. L’apertura, così come qui la intendiamo, è la consapevolezza che noi già siamo “ora” tutto ciò che vogliamo realizzare.

Il momento operativo, nel suo svolgimento nel tempo, inizia con il dubbio, che ci offre la possibilità della verifica di quanto abbiamo già compreso come reale.

La possibilità di poter verificare nell’esperienza personale la Verità, (lavoro del dubbio), oltre che realizzare nel movimento temporale ciò che abbiamo già riconosciuto vero in noi su un piano ontologico, dona la “tranquillità” di poterci aprire incondizionatamente, e a priori, al Vero.

È bene chiarire quest’ultima affermazione.

L’atto di fede a priori, necessario e atemporale, in quanto apertura ontologica verso l’Essere, è richiesto ad un individuo che, inizialmente, vive nel tempo e in uno stato presente che ancora non gli consente di essere Ciò verso cui si apre.

Il dubbio, che è lo strumento operativo che ci permette di verificare la conoscenza, consente, in questa funzione, quel “lasciarsi andare” in un’apertura che, senza la possibilità di verifica, sarebbe ostacolato dalla paura di vivere una cieca e inconsapevole accettazione di ciò che, in apparenza, sembra così distante.

Il dubbio, l’imprescindibile verifica, ci autorizza a donarci al Vero, a priori.

L’elemento centrale che vogliamo evidenziare è la funzione di allentamento delle difese dell’individuo nei confronti di una Verità percepita così lontana, anche se vicinissima a noi. L’individuo senza essere al corrente della possibilità di verificare la Verità, chiuso nello scetticismo di abbandonarsi all’irreale, alla creatività fanciullesca della sua fantasia, nella paura della deriva verso l’irrazionale, perderebbe la possibilità di aprirsi all’Eterno Essere che già da sempre siamo.

Il problema nasce dal fatto che Quello che è più vero, ossia, l’Essere che noi stessi siamo, essendo uno stato di piena libertà, amore e beatitudine, che apre alla coscienza le sue naturali eterne possibilità, mostra un’idea troppo grande per sembrare vera. La mente razionale non permette l’apertura all’infinito Essere perché reputa tutto questo una fantasia infantile e credulona.

In funzione dell’apertura iniziale, quindi, il dubbio sano, la possibilità di verificare realmente l’Assoluto che è da sempre in noi, ci “tranquillizza”. È come se stringessimo un patto con la nostra mente, un compromesso di conoscenza. Come se dicessimo alla mente: “Cara mente, è vero che tutto questo sembra pura fantasia, ma vedrai che potrò dimostrarti la sua realtà. Dammi del tempo e tutto sarà confermato”.

Se riusciamo a convincere la nostra mente, questa si zittisce, abbandona il suo giudizio, e noi, ancora immersi nella nostra individualità, possiamo tuttavia aprirci indisturbati alla Verità, nella profonda apertura della fede. E, da quel momento, possiamo iniziare quel processo di realizzazione in noi che ci porterà a essere Ciò che già da sempre siamo.

In questo processo realizzativo, verifica dopo verifica, quella Verità affermata inizialmente solo nei concetti, verso la quale decidiamo di aprirci anticipatamente, si avvicina sempre più. Nel risveglio della conoscenza reale, tra noi e il Vero non c’è più alcuna separazione.
Il percorso a cui ci rivolgiamo, col sostegno dei preziosi strumenti della fede e del dubbio, è la suprema realizzazione metafisica, nell’Eterna Non Dualità dell’Essere: Ciò che realmente siamo.


Arjuna 
Eques a Silentio

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